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CHIESA SANT’ IGNAZIO DI LOYOLA
RESTAURO DEL DIPINTO REFFIGURANTE LA FINTA CUPOLA
di Claudio Morganti
C’è un episodio in cui i vigili del fuoco di Roma, hanno prestato la loro opera, per un’operazione volta alla recupero e alla conservazione del patrimonio artistico e culturale della città. E’ accaduto nell’anno 1962, e si trattava di un’importante dipinto, conservato nella chiesa di Sant’Ignazio di Loyola, inserita nell’omonima piazza, sede dei Padri Gesuiti. Di questo fatto non si è conservata nessuna memoria nella storiografia dei vigili di Roma, pertanto è stato dimenticato dai più anziani, e completamente ignorato dai più giovani.
Ora, per cercare di colmare questa lacuna, affinché un tratto della nostra storia non vada perduta, su sollecito di un amico- meritoriamente impegnato nella ricerca di memorie mi accingo a parlarne, anche se sono trascorsi ormai 50 anni, poiché ne fui protagonista insieme a un’altra trentina di colleghi, guidati dal nostro Comandante ing. Giuseppe Oriani. Premetto, e mi scuso per questo, che questo racconto potrebbe contenere qualche imperfezione o omissione, poiché vado a memoria , il tempo trascorso è molto, e spesso non aiuta i ricordi.
Secondo la storia, la chiesa fu’ costruita tra il 1625 e il 1680 in piena epoca Barocca, e nel progetto iniziale era prevista una cupola, posta all’incrocio tra la navata centrale e il transetto.
Però i denari erano finiti e la cupola non si potette costruire. Si decise all’ora (forse in via provvisoria), di fare una cupola finta cioè, realizzare un dipinto prospettico, in modo che l’osservatore, ponendosi in un punto preciso del pavimento, avesse la sensazione di trovarsi sotto una vera cupola. Intanto si era giunti nel 1710, e l’opera fu’ affidata al Padre Gesuita Andrea Pozzo; famoso architetto e pittore dell’epoca, molto abile nelle prospettive. (da vedere anche la volta a botte della navata centrale).
L’artista realizzò il dipinto su un telo circolare con un diametro di 16 metri, tanto era il tamburo su cui doveva poggiare la cupola in muratura. Il telo fu’ sostenuto da una robusta intelaiatura in legno, che per ragioni di dimensioni e di peso venne diviso in tre parti, con due tagli paralleli al diametro, collegate sul posto con chiavarde e staffature. La sua posizione è ubicata a 20 metri dal pavimento. Passò il tempo, la cupola non venne più costruita, e il telo/cupola rimase al suo posto per circa 250 anni. Durante tutto questo tempo, la polvere, il fumo delle candele, la patina del tempo, e causa anche dell’ incendio di un baldacchino durante un funerale, e altre cause. La pittura aveva perso la sua lucente freschezza e vivacità, il restauro s’era reso necessario ed urgente.
La tela , causa il tempo, s’era resa friabile; l’intelaiatura in legno era deteriorata insieme a tutta la ferramenta di staffaggio, inoltre era pesantissima. Sganciarla dai vincoli murari calarla a terra senza danneggiarla era un’impresa che avrebbe preoccupato chiunque. Io non so’ come sia avvenuto, e quali siano stati i motivi, ma l’incarico di svolgere quel compito fu’ assunto dal nostro Comandante: l’ing. Oriani. Un valente Comandante che ricordo con ammirazione, tra tante cose, fece costruire lo stabilimento balneare di Torvajanica, nel 1963.
Sul luogo venne costruito un traliccio circolare di 16 metri di diametro, per un’altezza di metri 1,20. (fig.1) Furono collocate 16 carrucole di rinvio, lungo il perimetro, facenti capo ad altri verricelli a manovella, collocati su un muretto di rialzo al di sopra del telo da tirare giù. Il traliccio fu’ sollevato con movimento lento e simultaneo dei verricelli, fino ad appoggiarlo sotto il telo dipinto. Previa imbottitura, onde evitare il contatto diretto del ferro con la tela, per non rischiare di rovinarla. (fig. 2 lato A) Il dipinto ormai poggiante sul traliccio, liberato dai vincoli della muratura, fu’ calato a terra con un movimento inverso dei verricelli. Fu’ smontato e trasportato in laboratorio dai tecnici del restauro.
Il movimento dei verricelli fu’ eseguito dai vigili del fuoco del comando di Roma, sotto l’occhio vigile del Comandante. Occorsero due vigili per ogni verricello, che operarono con sentimento tecnico e disciplina, affinché il pesante traliccio si sollevasse perfettamente in piano, senza squilibri o posizioni fuori piano che potevano causare pericolose oscillazioni. Per questo, uno di noi scandiva con il megafono i giri delle manovelle, onde evitare i suddetti pericoli. Fu’ una bella faticaccia, nonostante il rapporto con vite senza fine, la manovella del verricello era molto dura a girarsi; in due persone ce la facevamo appena. Per sollevarlo ad altezza dovuta, circa 20/25 metri, occorsero quattro/cinque ore di lavoro, i vigili le impiegarono con devozione, sacrificando anche il tempo libero.
Dopo qualche mese, terminato il restauro, il dipinto fu’ agganciato sotto il traliccio e tirato nuovamente su, col il già descritto movimento dei verricelli , e sistemato nella sua sede originale.
Con questa operazione il traliccio è divenuto il supporto permanente del quadro/cupola, FIG. 2 lato B, pronto ad essere di nuovo calato ogni volta che se ne presentasse la necessità.
Quel dipinto, ritornato a nuova vita dopo il restauro, (fig. 3) è ora visibile a chiunque voglia ammirarne la sua bellezza, recandosi in quella chiesa, senza trascurare il cuore della sua storia, resa possibile anche nell’anima dei vigili del fuoco di Roma.
Nella (fig. 4) e’ visibile un modellino in gesso dell’epoca di come avrebbe dovuta essere la cupola se fosse stata costruita
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