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Santa Barbara 1939

SANTA-BARBARA

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Terremoto del Belice – 1968

 

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TERREMOTO DEL BELICE

14 GENNAIO – 31 MARZO 1968

 

14 gennaio 1968, alcune scosse di terremoto fecero tremare la terra di Sicilia.
La Valle del Belice durante la notte, fu colpita da un evento sismico. Alle ore 2:25 una scossa violentissima e ancor più forte alle 3.03 raggiungendo il X° della scala Mercalli; epicentro diviso tra i comuni di Salemi, Gibellina, Salaparuta, Montevago, e Poggioreale. La realtà fu presto manifestata nella terribile verità e con i primi soccorsi si poté constatare che il sisma era stato più crudele di quanto si potesse immaginare. Le dimensioni della tragedia furono immani.
L’accorrere della protezione civile e dei Vigili del Fuoco, che ebbero il ruolo di protagonisti data la loro preparazione professionale nelle molteplici calamità, portò al salvataggio di decine e decine di vite. L’ordine immediato della Direzione Generale era di far affluire nelle zone terremotate il più ampio contingente di mezzi e uomini, sia dai vari Comandi provinciali sia dalle Scuole Centrali Antincendi.
Il comando delle operazioni venne affidato all’Ing. Riccardo Sorrentino, Ispettore Generale della VIII zona, in suo aiuto per esigenze organizzative ed operative, l’Ing. Fabio Rosati, comandante dei Vigili di Roma.
A Trapani veniva costituita la Direzione operativa, così come un ponte aereo con Roma: mediante venti vagoni volanti C-119 tra l’aeroporto di Ciampino e l’aeroporto di Birgi, il giorno successivo giungevano i primi rinforzi costituiti da centoventi vigili del nucleo centrale e seicentoventisette allievi vigili ausiliari dalle Scuole Centrali.
Per mare, provenienti da Civitavecchia, la Colonna Mobile Centrale comandata dell’Ing. Silvestrini, con centoventidue uomini tra graduati e vigili, completi di tutti i mezzi idonei al soccorso, giunsero a Trapani.
Arrivarono ancora nei giorni successivi altri contingenti provenienti da altri porti, con uomini, mezzi e tutto ciò che sarebbe tornato necessario allo svolgimento dell’intervento, nonché di attrezzature logistiche.
Il servizio degli elicotteri effettuò 126 ore di volo coordinato dall’ufficiale pilota Coppi e dai piloti Enrico Rinaldo, Guido Jadarola e Gilebbi.
Unitamente a due elicotteri VVF di Modena e Roma, anche gli elicotteri della Marina Militare, dell’Aeronautica e dalla Guardia di Finanza. Ebbero largo impiego in special modo durante il primo periodo dei soccorsi, con i trasporti urgenti dei feriti verso gli ospedali di Trapani e Palermo.
Le successive scosse di entità minore ed in fase decrescente venivano chiamate dai geologi "code" o di assestamento, e che nessuna preoccupazione esisteva circa il ripetersi di altre scosse, anche se violente.
Passarono dieci giorni da quando il fenomeno tellurico si manifestò in tutta la sua violenza, seminando morte e distruzione.

Senonché il giorno venticinque dello stesso mese di gennaio, alle ore 10:57, mentre tutto il personale era impegnato in un intensa attività operativa, si verificò un nuovo movimento di grave violenza e di lunga durata.
Poco dopo giunsero notizie radio dai vai settori: le più allarmanti ed angosciose provenienti da Gibellina, dove si lamentavano numerosi feriti e vittime tra il nostro personale.
L’annuncio gravissimo venne confermato via radio dall’Ing. Rosati, si dispose l’accorrere di più soccorritori per Gibellina da altri comuni.
A breve si poterono accertare le vittime tra i nostri vigili con numerosi feriti, ma quattro persero la vita.
Questi luttuosi avvenimenti non poterono non incidere sullo stato d’animo dei vigili già fisicamente provati dal lavoro protrattosi senza sosta per dieci lunghi giorni e in condizioni di vita disagiata, sul ritmo intermittente delle scosse e sotto l’incubo continuo dei crolli.
Così alla stanchezza fisica si aggiunse il dolore per i compagni caduti, oltre ad uno stato d’ansia per quanto ancora poteva accadere.
Quattro nuovi nomi vennero incisi sui marmi dei caduti nel Sacrario delle Scuole Centrali:

Brigadiere Alessio Mauceri, di anni 53, del Comando Provinciale VVF. di Palermo

Vigile in servizio discontinuo Giovanni Nuccio, di anni 28, del Comando Provinciale VVF di Palermo

Vigile temporaneo Savio Semprini, di anni 30, del Comando Provinciale di Modena

Allievo Vigile Ausiliario Giovanni Carturan di anni 20, in servizio di leva presso le Scuole Centrali Antincendi

Vite travolte proprio dove nei giorni scorsi si erano prodigate a salvare vite e beni altrui, e dove il giorno venticinque erano intenti a svolgere le mansioni a loro affidate fra case diroccate e muri pericolanti, smassamento di macerie, riapertura di strade, demolizioni, ricerca delle salme, recupero di preziosi, oggetti d’arte e masserizzie di ogni genere.
L’ago del sismografo arrivò all’VIII° della scala Mercalli, per Gibellina fù fatale: si verificarono numerosi crolli di muri perimetrali gia lesionati dal precedente sisma e il Brigadiere Mauceri con il vigile Nuccio e con il Carabiniere Nicolò Cannella trovaro una morte istantanea sotto un violento peso di macerie in Corso Umberto, poco lontano in via Calvario, in simili circostanze rimaneva vittima l’allievo vigile Carturan, il destino per il vigile Semprini riservò una fine ancora più drammatica, avrebbe potuto salvarsi, se nel fuggire da tale pericolo non avesse trivato la strada sbarrata da un autovettura messa di traverso: fu schiacciato tra la vettura e il muro che in quel momento crollava.

La partecipazione del Paese fu molto sentita al lutto del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco; un solenne rito funebre venne celebrato nel Sacrario dei Caduti presso le Scuole Centrali Antincendi. I feretri, avvolti nel tricolore, erano stati trasferiti dalla Sicilia a Roma con un aereo speciale e a rendere l’estremo omaggio agli eroici vigili vi erano i familiari delle vittime, il Presidente della Repubblica, il Capo del Governo, il Ministro dell’Interno, le più alte autorità civili e militari, plotoni di Vigili del Fuoco e dell’Esercito resero gli onori.
Fu un rito suggestivo e solenne, dando la misura non solo del profondo cordoglio e dell’omaggio alla memoria tributato ai caduti dai più qualificati rappresentanti del popolo italiano, ma anche dei sentimenti di gratitudine delle popolazioni beneficiarie in ogni occasione, anche a prezzo di gravi tragedie, dagli appartenenti al Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco.

-   da i quaderni di protezione civile

– per il GSVVFRoma  Enrico Branchesi e Claudio Gioacchini

                                                                                                                                                                                               FOTO IN ALLESTIMENTO

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GIUSEPPE ORIGO – 1809

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MARCHESE GIUSEPPE ORIGO

Primo Comandante dei Vigili del Fuoco di Roma

di Enrico Branchesi e Claudio GioacchiniM. Giuseppe Origo 1

Le origini della famiglia Origo partono dalla città di Trevi nell’Umbria, la nobile Casata si trasferì a Roma verso la fine del XV secolo, insediandosi stabilmente nel rione Sant’Eustachio, dove ancor oggi esiste il loro settecentesco palazzo con ingresso in via di Torre Argentina.
Figlio di Vincenzo Origo e di Cristina Conti, Giuseppe nacque a Roma il 24 marzo 1782, compì i suoi studi presso il Collegio Romano, si appassionò nei rami della chimica, della fisica e meccanica, in seguito ne fece la sua attività.
Fu la Consulta Straordinaria per gli Stati Romani che, con decreto del 19 agosto 1809 istituì il Corpo dei Pompieri, passarono pochi mesi e Origo ebbe ufficialmente l’incarico di organizzarlo. Lo curò in modo esemplare con quotidiana dedizione, ormai noto studioso nel campo della fisica, tra l’altro socio dell’Accademia dei Lincei, poté adeguare alle necessità i progressi tecnici atti a migliorare il funzionamento del nuovo Corpo dei Pompieri romani che guidò per ben ventitré anni.
Nel 1829, dopo alcuni studi insieme al noto fisico, professor Aldini, idearono e provarono delle tute con copricapo in amianto, su delle persone, facendole passare tra muri di fiamme, uscendone completamente indenni, visto il risultato dotò subito i suoi uomini di tali attrezzature, ne diede pubblica dimostrazione nell’anfiteatro Corea.
Nel corso degli anni continuò a dare prova di efficienza ed una esemplare organizzazione al Corpo dei Vigili.
Durante l’occupazione napoleonica di Roma il marchese Origo vestì anche funzioni pubbliche, si avvalse il merito di “aggiunto al maire di Roma incaricato della pubblica istruzione”.
Dal 1816 fù nominato presidente del rione Sant’Eustachio, con l’incarico di capo del locale ufficio di polizia.
Il 27 novembre del 1826 il Cardinale Segretario di Stato conferì al Tenente Giuseppe Origo il grado onorario di Colonnello, seguito da innumerevoli elogi per lo zelo e la somma intelligenza con cui portò i Vigili di Roma ad un aspetto altamente professionale.
Arrivò poco oltre l’età di cinquant’anni affaticato e in precarie condizioni di salute, il Comandante volle ritirarsi a vita privata intorno alla metà del 1833, in una sua casa di Tivoli, poté trovare il desiderato riposo solo per pochi mesi, purtroppo cessava la sua esistenza la mattina del primo dicembre dello stesso anno.
Prima di lasciare il servizio da Comandante e i suoi Vigili, si preoccupò di garantire la direzione del Corpo di Roma al futuro successore Don Michelangelo Caetani, duca di Sermoneta, con nomina dal 31 agosto 1833.
Ad onorare e premiare la fervida attività sempre sollecitamente svolta in tanti campi dal Marchese Giuseppe Origo non mancarono certo riconoscimenti ufficiali da parte delle supreme autorità sia in patria che all’estero, venendo incluso da Pio VII tra i Camerieri segreti soprannumerari nel 1816, secondo una notizia riportata dal Diario di Roma n° 49 del 19 giugno, quindi ascritto nel 1824 dal Re di Francia Luigi XVIII tra i Cavalieri della Legion d’Onore ed insignito, infine, da Gregorio XVI nel 1832 della Commenda dell’Ordine di San Gregorio Magno, appena istituito.
La sua più grande soddisfazione fù l’opera svolta tra i Vigili romani in loro favore, tanto da disporre nel testamento di essere sepolto con lapide dove si esprimeva in special modo di aver istituito il Corpo dei Pompieri di Roma. La pietra sepolcrale ancor oggi visibile nella chiesa di San Pastore, sita nella omonima tenuta allora di sua proprietà estesa nel territorio di Gallicano.
Fu un uomo di fede religiosa, di sinceri sentimenti e di carità cristiana, Giuseppe Origo fu inoltre deputato di varie istituzioni pie, quale la Congregazione degli Operai della Divina Pietà, un sodalizio di laici che aveva come fine primario quello di provvedere al sostentamento delle povere famiglie.
La chiesa di San Gregorio a ponte quattro capi, fù ceduta alla Congregazione da Benedetto XIII nel 1727, Origo ne fù amministratore e a questa stessa lasciò per testamento tutti i suoi beni liberi da qualsiasi precedente vincolo in qualità di erede universale.
Con una lapide posta verticalmente alle pareti della chiesa stessa, viene così ricordato:

JOSEPHUS ORIGUS MARCHIO

ROMAE ORTUS VII KAL. APR. MDCCLXXXII

OSSA AD S. PASTORIS ADQUIESCUNT

DUX MILITUM QUI RESTINGUENDO SUNT IGNI

QUOS IN URBE PRIMUS INSTITUIT

EQUES LEGIONIS AB HONORE DICTAE

LUDORUM SAECULARIUM CURATOR

ALTER A PRAEF. URBIS AD REGIONEM EUSTACHIANAM

SODALITATEM A DIVINA PIETATE

CUJUS FUERAT EX DECURIONIBUS

BONARUM SUORUM SCRIPSIT HEREM

QUAE. SACRUM. QUOTANNIS. BENEMRENTI.DECREVIT

(Marchese Giuseppe Origo, nato a Roma il 16 marzo 1782, morì a Tivoli il 1 dicembre 1833.

Le spoglie riposano presso la chiesa del San Pastore. Capo dei Vigili (soldati che devono spegnere il fuoco) che per primo istituti a Roma.

Cavaliere della Legione d’Onore, responsabili dei ludi secolari nominato dal prefetto della città alla regione Eustachiana, lasciò i suoi averi alla Congregazione della divina Pietà la quale fissò annualmente un rito religioso in onore del meritevole Marchese.

 

Arch. Capitolino

March. Origo-Del RE

L’olio su tela del Marchese Origo fa parte della  collezione della Congregazione della Divina Pietà.

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L’8 settembre dei Vigili del Fuoco di Frascati – 1943

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L’ 8 SETTEMBRE DEI VIGILI DEL FUOCO DI FRASCATI

di Enrico Branchesi

 

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Vigile del Fuoco porta in salvo una donna estratta dalle macerie.

In quel periodo nulla faceva presagire il disastro che seguì. Italia e Germania entrarono in guerra contro la potenza anglo-americana.
Già dal gennaio 1942 nella città di Frascati ci fu un primo insediamento di truppe tedesche, con sede a Villa Campitelli, l’anno trascorse per gli ospiti forestieri ed i nostri Vigili continuarono il loro lavoro come del resto tutti i frascatani.
Intanto proprio per esigenze belliche il distaccamento fu rinforzato da personale volontario del Nord Italia richiamato in servizio ed inviato nei corpi che necessitavano di maggior personale.
Il 5 settembre dello stesso anno 1942, durante un intervento di un incendio ad un laboratorio pirotecnico, un vigile dell’85° Corpo Vigili del Fuoco “Trento”, Giorgio Ermanno Melchiori, fu investito da una violenta esplosione, trovandovi la morte.
Tragica sorte che gioca spesso con il destino di ognuno di noi specie quando si “vive pericolosamente” come era caro dire ai pompieri del tempo. Altre città italiane erano intanto prese di mira dai bombardieri alleati che seminavano morte e distruzione. Tuttavia Roma ed il suo hinterland sembrava fossero protette dalle incursioni per la presenza del pontefice.
L’illusione svanì invece il 19 luglio del 1943, giorno di un’amara e triste realtà per Roma che sentì per la prima, ma purtroppo non ultima volta, il sibilo delle bombe in caduta, quel grido che fa orrore. Il quartiere di San Lorenzo venne centrato dagli ordigni americani, palazzi divennero enormi cumuli di macerie.
I vigili di Roma lavorarono per giorni e giorni nella speranza di salvare ancora delle vite umane sepolte dai crolli.
Ma il tempo correva, Mussolini che si trovava quel giorno a Feltre per incontrare Hitler nella vana speranza di sganciarsi dal conflitto, fu colto da imbarazzo incredibile e l’evento accellerò la congiura ordita da Grandi e dagli altri membri del Gran Consiglio del fascismo. Il 25 luglio il Re Vittorio Emanuele III, trovando finalmente un valido pretesto, si sbarazzò dell’ingombrante primo ministro. Il regime crollava sotto i colpi dei suoi stessi rappresentanti e il fascismo implodeva su se stesso clamorosamente.
Ai giorni del governo Badoglio seguì da lì a poco il drammatico 8 settembre 1943, per i cittadini di Frascati, da ricordare e dimenticare nello stesso tempo. Tutti sanno che quel giorno nei cieli della città, mentre l’Italia crollava nel caos alla notizia dell’armistizio, passarono i B17, le fortezze volanti statunitensi, sganciando, intorno le ore 12, circa 1300 bombe. L’armistizio era stato già firmato da giorni e sarebbe stato annunciato la sera stessa.

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Piazza S. Pietro, pomeriggio 8 settembre

Obiettivo ufficiale della missione era il Comando germanico che il Maresciallo Kesserling aveva posto nella città di Frascati. Curioso personaggio, militare inflessibile, stimato dai suoi avversari che lo chiamavano “il sorridente Albert” per via di una sorta di paresi alla muscolatura facciale. Uomo fermo e gelido ma che non esitava a passeggiare per la città senza mancare di riservare cortesie ed effusioni agli abitanti della città. Condusse la guerra in Italia con forza e non meno fermezza impose nella lotta ai partigiani.
Comunque nell’incursione persero la vita circa 500 civili e 200 militari tedeschi, e metà degli edifici furono distrutti.

 

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Militari italiani e tedeschi, Piazza del Gesù

 

Per i locali Vigili del Fuoco il lavoro non mancava davvero, nonostante fossero pochi e non sapessero da dove cominciare, innumerevoli furono i salvataggi da loro portati a termine. Persone che chiedevano aiuto in ogni angolo, incastrate da travi di tetti o semicoperte dalle macerie e situazioni allucinanti, tanto che aiuti arrivarono anche dai colleghi del vicino distaccamento di Marino.
Anche da Roma partirono in molti con automezzi ed attrezzature, ma da parte dei tedeschi ci furono impedimenti nel proseguire la marcia dei soccorsi che arrivarono solo dopo qualche giorno. Ma il loro ardimento era alto, vista anche la precedente esperienza con il bombardamento del 19 luglio sulla capitale.
Per le vie della città la gente pareva smarrita, alla ricerca di parenti ed amici, per tanti ci fu l’amarezza di non ritrovare la propria casa, lacrime e grida di disperazione s’udivano in ogni strada.
I vigili del locale presidio di via Matteotti, come i civili, subirono la violenza delle bombe, vennero sorpresi all’interno della caserma, alcune testimonianze dicono che i poveretti resi inermi da quel frastuono assordante e dalle mura che tremavano, impossibilitati ad uscire per rifugiarsi, si raggrupparono abbracciati tutti insieme, stringendosi tra loro nell’ angolo più sicuro della loro caserma.
Superarono l’incursione senza conseguenze, in quanto la struttura fu danneggiata nel lato opposto ai locali da loro occupati. Una volta ripresi dallo smarrimento, uscirono di corsa in strada per constatare l’avvenuto, vagliando velocemente i danni per il successivo soccorso.

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In questo scatto si nota il danno prodotto nel retro della struttura della scuola dall’incursione, come citato nel testo.

Di lì a pochi giorni, il 23 settembre, il comando tedesco si trasferì da Frascati verso il monte Soratte, e durante la ritirata i militari germanici portarono via forzatamente i mezzi di soccorso. 

I vigili davanti alla minaccia delle armi rimasero inermi ed umiliati ………

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Tratto da “I Pompieri nel Comune Tuscolano”

di Enrico Branchesi – 2011

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Terremoto di Aiello Calabro – 1905

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Terremoto ad Aiello Calabro

Il soccorso dei Vigili di Roma

Tutto successe nella notte tra il sette e l’otto settembre del 1905.
Erano quasi le tre, quando il sonno più profondo immerge nel totale rilassamento,
alle 2.40 una fortissima scossa tellurica, con intensità crescente, colpì il paese di Aiello in modo distruttivo. Il sisma fu avvertito a chilometri di distanza e moltissimi altri paesi della Calabria furon
o investiti dall’onda dello sciame sismico.
Questo terremoto provocò 557 morti e solo ad Aiello furono ventitré. Molte delle case isolate nella campagna crollarono, la popolazione del paese rimase senza tetto e senza nulla da mangiare, la povera gente colpita da quella tragedia ebbe il timore di affrontare il vicino inverno senza un adeguato riparo potendo solo sperare nella pietà collettiva degli Italiani.
La preghiera fu accolta intimamente nel cuore della popolazione, immediato fu l’intervento del Genio e del Regio Esercito, delle regie autorità governative e locali nonché di associazioni varie che donarono offerte in denaro ed aiuti materiali anche in supporto all’attività di soccorso e ricerca delle persone rimaste sotto le macerie e d’assistenza ai molti feriti.
Dopo aver dato sepoltura ai morti e portati i feriti in luogo sicuro occorse l’opera di corpi tecnici per demolire quei fabbricati pericolanti o consolidarne altri e costruire dei ricoveri di fortuna per i superstiti.
L’Ispettore Generale del Ministero dell’Interno, Commendator Brunialti, comprese il dramma della tragedia e, conoscendo le speciali capacità dei Vigili di Roma in particolar modo nell’uso della scala romana, pensò all’opportunità di richiedere una squadra per inviarla sul luogo colpito dal sisma.45b
L’invito fu comunicato al personale del corpo di via Genova ed accolto con entusiasmo dal Comandante al più giovane dei vigili. Tutti si sarebbero recati in aiuto immediatamente.
La squadra fu formata da venti uomini al comando dell’ufficiale ingegner Venuto Venuti.
Il Comandante, Ing. Cav. Giuseppe Fucci, formò la spedizione con i vigili più esperti nel settore e la corredò con il più svariato materiale per permettere, non appena giunta sul posto, di iniziare subito qualunque genere di lavoro.
La squadra venne salutata dalle autorità municipali alla partenza in treno dalla stazione Termini alle ore 8:00 del tredici novembre.
Il viaggio fino alla stazione calabra di Amantea si svolse sotto l’imperversare di un’insistente pioggia alternata a grandine e si raggiunse Aiello dopo una marcia di ventisette chilometri alle ore 17:00 del giorno quattordici. Tanto il personale era provato che parve aver bisogno a sua volta di soccorso.
I vigili furono ricevuti dal Sindaco che li invitò nella baracca che avrebbe servito loro da dimora per il periodo di permanenza, inoltre fu offerto un abbondante ristoro e
modo d’asciugarsi dagli indumenti fradici dalla pioggia. I vigili subito approfittarono dell’ospitalità per un breve riposo che permise di superare il ricordo del viaggio poco clemente.46b
Sistemato l’alloggio e messo in ordine il magazzino degli attrezzi, i soccorritori romani iniziarono subito a darsi da fare, ovviamente i lavori da svolgere si presentarono di varia natura, l’ingegner Venuto Venuti insieme ai colleghi del Genio Civile ispezionò il paese per calcolare la gravità dei danni, in relazione alle urgenze, divise la squadra in tre parti; la più numerosa la adibì alle demolizioni, l’altra la riservò ai lavori più delicati e con maggior rischio e destinò la terza ai puntellamenti.
L’opera di demolizione più importante si svolse sul palazzo Belmonte, dove si palesò l’utilità della scala romana, l’Ing. Venuti dispose il montaggio della scala nel modo detto in briglia e, vista la pericolosità del lavoro da svolgere, prese ogni tipo di accorgimento per la sicurezza dei vigili che vi operavano.
Montate le scale si ebbe il lato scenico della situazione che impressionò talmente tanto i paesani intenti a vedere il lavoro dei pompieri che questi vennero soprannominati “Diavoli”.
Intanto le altre due squadre operarono incessantemente per soddisfare ogni richiesta dei cittadini.
Questo primo periodo di intenso lavoro servi a coronare l’opera dei Vigili di Roma con una fiducia assoluta da parte della popolazione. L’eco di questa simpatia si manifestava con telegrammi del Sindaco di Aiello a quello di Roma.
Il primo dicembre l’49bing. Venuto Venuti terminò il primo turno e lasciò il servizio all’ufficiale ing. Giacomo Olivieri. Questi fu accolto in maniera festosa e venne portato ad apprezzare l’opera efficace svolta dal suo collega rientrato a Roma in modo di poter continuare sulla stessa linea.
Ad Olivieri rimase il compito del consolidamento degli edifici, un lavoro all’apparenza con minori rischi ma non privo di difficoltà, i puntellamenti sempre all’ordine del giorno nonchè la sistemazione e ricostruzione dei tetti delle abitazioni e del Palazzo Municipale.
Per il gruppo dei vigili romani si avvicinò quindi il momento del ritorno e la popolazione capì al punto che sui suoi volti il dispiacere di questo allontanamento si fece vivo. L’ing. Olivieri lasciò parte del materiale che più poteva essere adatto al proseguimento del lavoro di incatenamento compresa un’alzata di scala romana per due operai aiellesi precedentemente istruiti all’uso.
Le autorità e i cittadini di Aiello salutarono commossi la squadra dei vigili romani che la mattina del ventuno dicembre intrapresero la marcia del ritorno verso la stazione di Amantea, ad attenderli il Sindaco per esprimergli parole di ringraziamento.
A Napoli la squadra incontrò il Comandante dei vigili partenopei che volle esprimere gli elogi a nome di tutto il corpo napoletano.
Arrivarono alla stazione di Roma alle ore quindici del ventitré dicembre accolti dalla soddisfazione dell’Assessore comunale e dagli applausi dei familiari che erano lì ad attenderli.
La professionalità dei Vigili di Roma e la loro abilità nell’uso della scala romana divenne nota in tutta la nazione, questa specializzazione venne successivamente richiesta da altri corpi in molteplici occasioni, meritando ogni volta elogi e infiniti ringraziamenti.

 

Statistica dei servizi prestati dal corpo di Roma nell’anno 1905                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                

                                                                                           Gruppo Storico VVFRoma.

 

 

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I sommozzatori del 1° Corpo di Roma – 1955

LUGLIO 1955: UNA RICERCA PARTICOLARE PER I SOMMOZZATORI DEL 1° CORPO DI ROMA

Di Alessandro Fiorillo

12 luglio 1955, un giorno come tanti della calda estate romana. Sulle rive del Lago di Albano (località “Culla del Lago”), a Castelgandolfo (nota per essere la residenza estiva del Papa), venne fatto un macabro ritrovamento: ricoperto da un tappeto di fogli di giornali, recanti la data del 5 luglio, fu trovato il cadavere nudo di una donna, senza testa e con un unico elemento in grado di far risalire alla sua identità, un orologino da polso marca Zeus, che l’assassino si dimenticò di occultare (1).

Per una particolare operazione di ricerca subacquea venne richiesto l’intervento dei vigili del fuoco del 1° Corpo di Roma, che immediatamente inviarono sul posto una squadra di sommozzatori e nuotatori guidati dall’Ing. Marticari (2). L’oggetto della ricerca fu la testa della povera donna, brutalmente uccisa qualche giorno prima con sette coltellate. L’omicidio avvenne nello stesso luogo del ritrovamento del corpo, si pensava pertanto che la testa poteva esser stata gettata in acqua. L’esplorazione fu particolarmente difficile per la natura vulcanica del lago, che presentava un fondale che sprofondava rapidamente ed era ricoperto quasi totalmente di alghe. S’immersero due vigili sommozzatori, equipaggiati con apparecchio ad ossigeno, mentre i vigili nuotatori, muniti di pinne, maschera e di semplice tubo respiratore, scesero in apnea non oltre i sette metri di profondità, limite della visibilità. In due giorni di ricerche si ebbe un accuratissimo esame di un gran tratto costiero, esplorato fino ad una profondità di 20-25 metri, senza avere però la possibilità di scendere oltre. Utilissima per tutta la durata dell’intervento fu un imbarcazione leggera in duralluminio, munita di motore fuori bordo Evinrude da 35 HP, che da poco tempo era in dotazione al 1° Corpo di Roma.

Tutte le fasi delfoto 1 (FILEminimizer)le ricerche furofoto 2 (FILEminimizer)no attentamente seguite dagli investigatori, dalla stampa e dal pubblico, partifoto 3 (FILEminimizer)colarmente colpito dall’efferatezza del delitto. La testa della povera donna non fu mai ritrovata. Si risalì però alla sua identità grazie all’orologio da polso (prodotto in appena 150 esemplari, il che facilitò le indagini): si trattava di una domestica siciliana che lavorava a Roma, Antonietta Longo, di 30 anni. Il giorno prima della sua morte ai genitori arrivò una missiva, spedita da Antonietta il 1 luglio, che così recitava: “Siate felici per me, sto per sposarmi con un uomo perbene. Arriverò in paese con lui a breve. Se Dio vuole presto vi darò un nipotino”. Il caso di Antonietta Longo è ancora oggi un caso irrisolto.

NOTE:

(1) Il ritrovamento del corpo, in realtà, avvenne 2 giorni prima ad opera di due uomini che soltanto 48 ore dopo si decisero ad avvisare i Carabinieri.

(2) Nello specifico furono inviati 2 vigili sommozzatori e 10 vigili nuotatori che proprio in quei giorni stavano effettuando un corso di nuoto per salvamento, di cui era istruttore era il Vice Brigadiere Federico D’Andrea.

Bibliografia:

Antincendio, (VII) 8, agosto 1955, p. 469.

http://www.loccidentale.it/node/93154

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Il terremoto del Vulture – 1930

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Il terremoto del Vulture
I soccorsi dei vigili di Roma

   

Alfredo Cecchini
Il vigile Alfredo Cecchini ritratto tra le macerie Villanova del Battista.

Attestato di pubblica benemerenza per il vigile Ascenzo Baccarini, per le azioni pericolose svolte nei comuni di Villanova del Battista e Lacedonia.

Alle ore 1.10 del 23 luglio 1930 due forti scosse telluriche, una sussultoria e l’altra ondulatoria, della durata complessiva di circa quarantotto secondi, si abbatté nel Sud d’Italia colpendo in particolar modo l’Irpinia ed il Vulture.
La violenza del sisma fece subito saltare le linee telefoniche e telegrafiche, mentre anche il servizio di illuminazione subì numerose interruzioni. Gravissime le conseguenze per le abitazioni e per la popolazione: nella sola provincia di Avellino, infatti, la più colpita fra tutte, sedici comuni subirono pesanti lesioni, mentre le vittime accertate risultarono mille cinquantadue. Drammatica la situazione nella provincia di Potenza con più di nove comuni lesionati e oltre duecento vittime. Danni e morti furono riscontrati anche nelle province di Foggia, e Benevento.
Particolarmente tragiche furono poi le conseguenze in campagna; Infatti, molti casolari, per resistere ai cambiamenti climatici, erano coperti da tetti pesantissimi, costruiti con materiale calcareo che crollando schiacciarono, senza possibilità di essere estratti vivi, i loro occupanti. È proprio nelle molteplici case campestri sparse nella zona colpita dal sisma che la maggior parte delle persone perse la vita.
Il bilancio conclusivo del disastro diventò pesantissimo: le vittime complessive furono oltre millequattrocento quattro, mentre il numero dei feriti superò i diecimila. Questo terremoto prese il nome dal monte Vulture, trovandosi proprio nel mezzo della corona interessata, infatti, alle sue pendici si contarono i danni più ingenti.
Il Governarato di Roma formò una squadra di Pompieri da poter inviare sul luogo del disastro, composta da un Ufficiale; l’ing. Osvaldo Piermarini, sei graduati di cui il capo reparto Ferruccio Reibaldi, il macchinista di I classe Umberto Cardoni, ed i capi squadra Ascenzo Baccarini, Pilade Binaldi, Carlo Clementi, Natale Torri e quindici vigili; Antonio Clabassi, Alfredo Cecchini, Romolo Cicchetti, Domenico Ferri, Fernando Flori, Egidio Frascarelli, Pasquale Morino, Pietro Mollichella, Antonio Negrini, Sebastiano Pacetti, Federico Palmocci, Augusto Pucci, Luigi Saini, Attilio Taccoli, Enrico Venanzini. Con loro portarono un camion con attrezzatura varia, un carro con motopompa e una vettura fiat 501. La colonna partì alla volta di Avellino con un treno speciale la sera del 24 luglio, carrozze e vagoni furono preparate per i soccorsi, con la squadra e gli automezzi prese posto anche il Governatore di Roma Francesco Ludovisi Boncompagni, che acco
mpagnò i soccorritori dell’Urbe su una tragedia epocale. Arrivò il giorno dopo sul luogo del soccorso a loro assegnato, il paese di Villanova del Battista, subito il Governatore di Roma mise il nostro ufficiale in stretta collaborazione con il colonnello Bracciaferri del I° reggimento bersaglieri, all’istante iniziarono il lavoro di soccorso con sei squadre di pompieri, lavoro di speranza nel poter ancora salvare qualche vita umana, purtroppo nessun lamento o invocazione di aiuto si udivano dalle macerie. L’opera di soccorso veniva perciò rivolta al recupero pietoso e rapido, vista la stagione molto calda, delle vittime sotto le macerie. Nei giorni precedenti una compagnia di avieri insieme al reggimento dei bersaglieri estraevano circa un centinaio di cadaveri che si andarono a sommare ai quarantatré estratti dai pompieri di Roma.
A Villanova, il giorno ventinove non vi era più nessuna vittima insepolta, le operazioni di ricerca e del recupero delle salme erano state condotte con grande celerità dai vigili romani, superando con grande abnegazione e costanti pericoli, tanto da meritarsi alti elogi da S.E. Leoni sottosegretario ai lavori pubblici, S.E. Baistrocchi comandante della divisione di Napoli, dall’On. Di Marzio e dal colonnello comandante della zona.
Il lavoro per i pompieri non terminava con il recupero dei morti, ma si estendeva sulle vaste operazioni di demolizione di muri pericolanti, al puntellamento delle poche case ancora agibili, al recupero di masserizie, animali e bestiame della popolazione che ormai non le rimaneva altro.
Durante la permanenza a Villanova, come a Lacedonia, i vigili con il loro comandante Piermarini pernottarono nelle tende, consumavano il rancio dei sodati ed osservavano il seguente orario di lavoro: 5.30 – 11.30, 15.00 – 19.30, orario che permise di ottenere un grande rendimento in pochi giorni. Tutti i vigili si comportarono in modo ammirevole, alcuni si distinsero particolarmente dimostrando capacità e coraggio come il sottocapo squadra Natale Torri, nel tentativo di recuperare viveri e biancheria, rimase ferito in un ulteriore crollo per un cedimento della pavimentazione, ricordiamo ancora Ascenzo Baccarini, Carlo Clementi, Alfredo Cecchini, Egidio Frascarelli, Pasquale Morino e Sebastiano Pacetti, furono coloro che si prodigarono in modo esemplare per sprezzo del pericolo e sicure capacità.
Il 30 luglio, la grande squadra romana era pronta per il rientro nella Capitale, prima di partire telegrafarono a S.E. Leoni comunicando il loro rientro, invece di acconsentire il politico li dirottò a Lacedonia per dare il cambio ai pompieri di Milano, li c’era ancora da recuperare gli effetti personali della povera gente ed un importante e pericolosa demolizione da fare, quella della chiesa del Purgatorio, ci vollero due giorni di lavoro difficile ed intenso, ma un cedimento improvviso travolse i vigili Pacetti e Negrini ed il capo squadra Clementi, quest’ultimo riportò una frattura scoperta del perone sinistro, dopo le prime cure dei medici venne trasportato all’ospedale di Avellino. L’Ufficiale dei vigili di Roma Osvaldo Piermarini con l’ing. Giovannetti del Genio Civile fecero un’accurata ispezione per le vie del paese, constatando che non vi era nessuna operazione da compiere di carattere eccezionale, il lavoro dei pompieri ormai limitato volgeva al termine.
All’alba del 4 agosto 1930 il gruppo dei pompieri di Roma riprendeva la via del ritorno con piena soddisfazione per il dovere compiuto, sicuri del lavoro svolto. Arrivarono alla stazione termini nella serata intorno alle ore 21.00, ad attenderli in stazione vi era il Governatore di Roma, esprimendo la sua gratitudine e della cittadinanza per l’opera benefica compiuta.

GSVVFRoma

Enrico Branchesi e Claudio Gioacchini                                                                                                                                                                                                                                                             

    da un rapporto dell’Uff. Osvaldo Piermarini 1930

 

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Incendio della Basilica di San Paolo – 1823

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Basilica di San Paolo
Incendio del 15 luglio 1823

La basilica di San Paolo fu eretta nel 324 da Costantino il Grande, ubicata al di fuori delle mura Aureliane e a soli due chilometri da Porta San Paolo. Questo imponente edificio fu costruito sul podere di Lucina Matrona Romana, sopra il cimitero, dove venne sepolto San Paolo.
Nel 386 la basilica fu demolita, riedificata più ampia e dignitosa, per volere degli Imperatori Valentiniano, Arcadio e Teodosio; fu il Pontefice Onorio nel 423 a farla restaurare e in seguito altri Papi pensarono al suo abbellimento.
Nel corso dei decenni subì terremoti e incendi vari ma, senza particolari danni, rimase indenne fino al 1823, quando un incendio s’impadronì della basilica distruggendola quasi del tutto.
Non si poté certo attribuire la colpa ai monaci Cassinesi per la loro poca cura, poiché essi erano sempre pronti alla riparazione dei danni procurati dal tempo; fino al 1814 cercarono di portare ogni vantaggio per la cura del Santo luogo con le loro scarse risorse, pregando il Papa per un sostegno che servisse per gli innumerevoli restauri. Nel 1815 fu così  accordato un assegno perpetuo.
Un lavoro urgente era la realizzazione di una grande staffa in ferro con cui sostenere uno delle travi maestre della navata centrale, resa molto debole dal tempo; contemporaneamente sui tetti, per la sistemazione di canale e grondaie in rame, al fine di evitare infiltrazioni di acqua piovana, per una maggiore durata dello stesso, lavoravano dei muratori e stagnini.
Durante la notte del 15 luglio 1823, intorno alle ore quattro, cominciò a manifestarsi il primo focolaio; fu individuato da un buttero che si trovava nei prati attigui alla basilica intento al pascolo del bestiame; immediatamente egli corse ad avvisare gli occupanti della chiesa ed insieme cominciarono a sgomberare suppellettili e gli oggetti più preziosi, portandoli in un luogo sicuro e principalmente con affanno corsero a suonare le campane a martello per segnalare l’incendio. I padri Cassinesi, che in estate risiedevano nel monastero di San Callisto, avvertiti della disgrazia, corsero alla basilica arrivando verso le nove della mattina, trovandola ormai in preda alle fiamme.
Il fattore della basilica entrò nel tempio, dove la facciata ed il portico sembravano salvi e vide due travi interamente avvolte dal fuoco; nel giro di due ore le fiamme erano arrivate all’arco restaurato da Galla Placidia; finalmente, in quel momento giunsero i pompieri romani, ancora poco ed altre tre travi si sarebbero incendiate. Guidati dal comandante Giuseppe Origo e dal capitano Bellotti, la colonna dei soccorsi partì dalla sede di piazza Sant’Ignazio con tre carri con cavalli; due di essi trasportavano le pompe da incendio mentre il terzo fu pesantemente caricato con diversi attrezzi adatti all’intervento. Sul luogo del disastro i pompieri trovarono i dragoni pontifici, che più di tanto non potevano fare per scagionare tale rovina. Il signor Battisti, fattore del complesso religioso, andò incontro ai pompieri facendogli vedere i punti dove il fuoco era ancora pericolosamente attivo, con la possibilità di propagarsi; essi entrarono dalla cucina e man mano salirono verso il tetto dove tagliarono la continuità delle fiamme; così facendo, la sagrestia ed il monastero dei padri Cassinesi furono risparmiati dalle fiamme del rogo provocato dalla negligenza di uno stagnino che, dopo aver sistemato le grondaie del tetto della navata centrale, dimenticò acceso il fuoco che aveva usato per il proprio lavoro.

 

Incendio della Basilica di San Paolo (Ascanio di Brazzà)

A chi visse quell’esperienza parve di vedere il Vesuvio in eruzione; le fiamme prepotenti, visibili da lunga distanza si allungavano verso il cielo oscuro della notte, facendo intuire l’entità dell’immensa disgrazia.
Nessuno osava inoltrarsi nel Sacro tempio poiché enormi massi e smisurate travi già crollate ed altre pericolanti,  incutevano terrore per la minaccia di un imminente collasso.
La porta principale che fu donata dal Console romano Pantaleone di Amalfi e fatta arrivare da Costantinopoli, composta di robusto e massiccio legno ricoperto in fusione con bronzo e argento, fu danneggiata nell’incendio; i preziosi metalli che la adornavano fusero completamente facendo rimanere a nudo l’interno di legno (una parte è ora conservata nel chiostro del Santuario); della navata centrale della basilica, che con le sue quaranta colonne offriva all’occhio di chi entrava una magnifica veduta, dopo questa rovinosa disgrazia non rimaneva che cumuli di materiali in frantumi, colmando la vista di tristezza.
Qua e là qualche pezzo di muro rimase ancora in piedi e gli archi anneriti mostravano i segni della sofferenza. I pompieri che provvedevano allo spegnimento di piccoli focolai ancora attivi, muovendosi tra la confusione di calcinacci, capitelli ridotti in frantumi, colonne sdraiate per terra, candelabri anneriti e distorti, sacre immagini rese irriconoscibili, dipinti completamente bruciati, rimasero sconcertati da tanta violenza e rattristati da tanta desolazione. (1)

MATANIAINCENDIOBASILICADISANPAOLO1889 x articolo
Incendio e rovine della Basilica di San Paolo (Matania-1889)

Rovine della Basilica di San Paolo (Luigi Rossini 1790-1857)

Tuttavia non possiamo fare a meno di dire che in tale circostanza si distinse in particolar modo il Marchese Origo, comandante dei pompieri di Roma, il quale non risparmiò impegno e fatica al fine di riuscire nel desiderato intento.
Nel 1887, durante la ricostruzione della basilica, una compagnia di vigili comandata dal Cav. Vincenzo Gigli, ebbe l’incarico di innalzare le colonne della navata centrale; essi con una ben organizzata manovra che durò pochi minuti eressero la prima colonna, facendo rimanere meravigliati coloro che erano accorsi ad assistere tale ardito lavoro.
Il benemerito corpo che accorse sempre volenteroso tra fiamme e inondazioni, contribuì anche, con la sua opera, alla ricostruzione e alla decorazione dei più insigni monumenti della nostra città.
(2)

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Per il GSVVFRoma
Enrico Branchesi – Claudio Gioacchini

(1) S. Paolo di Roma, – G. Marocchi 1823

(2) Benfenati, 1895

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Bernardo De Fabritiis – 1911

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BERNARDO DE FABRITIIS

 

Roma, 12 luglio 1911

 

                                                 Bernardo De Fabritiis 1911 x sito                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                In via Appia Nuova, all’altezza dei vecchi depositi dei tram sorgevano molti magazzini adibiti a depositi di foraggi per il servizio dell’esercito, nelle adiacenze altri magazzini stoccavano mobili. ferro, nonché fieno e paglia, e ancora stalle con dozzine di cavalli, rimesse con vetture e tante altre cose.
Una mattina, prima dell’alba, due donne mentre attraversavano la strada videro uscire del fumo da uno dei capannoni, cominciarono a gridare, al fuoco … al fuoco … fu il caos, molta gente ancora assonnata uscì all’aperto da ogni punto, correndo e gridando senza meta e soprattutto senza sapere cosa fare, intanto davanti al magazzino della ditta Casale, luogo da dove usciva il fumo, si radunò una folla di curiosi intenti a notare i progressi del fuoco.
In brevissimo tempo sopraggiunsero i vigili del fuoco provenienti da via Genova, prontamente avvertiti da uno dei curiosi che non si era fatto prendere dal panico e, sotto il comando dell’allora tenente Venuto Venuti, (dal 1930 divenne il comandante del corpo di Roma) arrivarono con una autopompa, una pompa a vapore, e attrezzi vari.
Iniziarono a rovesciare acqua sull’incendio quando il tetto era ormai precipitato, senza tralasciare gli stabili adiacenti, facile preda del fuoco.
Il capitano De Magistris, che aveva sostituito l’ing. Venuti, avvertì il personale che un muro stava per collassare e ordinò ai vigili di allontanarsi.
Un operaio si convinse di notare che un’altro fienile, posto alle spalle di quello incendiato andasse a fuoco, corse a comunicarlo al brigadiere Pagani che, con i vigili De Fabritiis, Canedella e Tisei accorsero nel punto sospetto, per far prima passarono vicino al muro pericolante, quello che il capitano si era raccomandato di starne lontano, constatarono che non vi era nessun altro incendio, era solo del fumo che il vento aveva trascinato dall’altra parte.
Il muro che minacciava di cadere era lato quindici metri e lungo quattordici, in quel momento si piegò su un lato e cadde sulla tettoia di un’altro fienile al primo piano, sotto l’urto violento sprofondò il pavimento e distrusse ciò che vi era al pian terreno, parte delle macerie di rimbalzo caddero in un cortile e ferirono il vigile Tisei, mentre una porzione pesante del muro colpì De Fabritiis, fu investito in pieno, i compagni lo soccorsero immediatamente e lo trasportarono all’ospedale San Giovanni, poco distante dal luogo della disgrazia.
I professori che lo visitarono riscontrarono la frattura del bacino e della gamba destra, una lacerazione della vescica, ferite in varie parti del corpo e una gravissima commozione cerebrale.
I medici rimasero impotenti, lo dichiararono in imminente fin di vita.
Dopo un’atroce agonia il povero vigile mise fine alle sue angosce.
Bernardo De Fabritiis, abruzzese, poco più che quarantenne lasciava moglie e due piccoli bambini.
La salma fu collocata in una camera improvvisata a cappella ardente, furono deposti fiori e tanti ceri accesi, e un drappello di vigili rimase come guardia d’onore.
Molte furono le visite per il vigile sfortunato, dall’assessore comunale, ufficiali, graduati e vigili del benemerito corpo di Roma, tutti andarono a portare un omaggio di ringraziamento al defunto collega.
I funerali si svolsero in forma solenne, la salma fu rivestita dai compagni con l’uniforme da parata, e rinchiusa in una doppia cassa di legno e zinco.
Il corteo cominciò a formasi alle nove e trenta di mattina sulla piazza di San Giovanni, era una giornata grigia con una pioggerella incessante.
Il corteo funebre era preceduto da un plotone di guardie municipali, un drappello di carabinieri, due drappelli di pubblica sicurezza, un plotone di vigili e la banda comunale.
Sul carro che trasportava la salma era ricolmo di corone e fiori, sulla cassa furono posti la divisa e l’elmo del defunto, ai lati del carro un drappello di vigili in divisa di rappresentanza come guardia d’onore.
Immediatamente seguivano il carro, i più stretti familiari, venivano poi le più alte personalità, come il sindaco di Roma Nathan, comandanti di ogni corpo e comandanti dei vigili del fuoco giunti da ogni città d’Italia, Napoli, Venezia, Teramo, Marino, Civitavecchia ecc., come pure ex vigili, il Principe Don Prospero Colonna che fu il primo assessore dei vigili.
La lunga colonna del corteo percorse via Merulana, Santa Maria Maggiore, piazza Vittorio, via Cavour, per fermarsi in piazza dei Cinquecento, dove il sindaco Nathan volle dare l’estremo saluto alla memoria del valoroso, appartenente ad un corpo dal nobilissimo compito di proteggere la cittadinanza da tristi evenienze, subito dopo intervenne l’ing. Fucci, comandante dei vigili di Roma, con un lungo discorso espresse il più caloroso cordoglio.
Il corteo ufficiale si sciolse, il carro con il feretro seguito da molti colleghi e familiari, proseguì per il cimitero del Verano, dove fu tumulato nella tomba dei vigili, del “Pincetto”.
(1)

(1) Coraggio e Previdenza 1911
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                     GSVVFRoma                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                            Enrico Branchesi-Claudio Gioacchini

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i Vigili del Fuoco di Sua Santità

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                         .

I Vigili del Fuoco di Sua Santità  

I Servizi Antincendi nello Stato della Città del Vaticano

di Alessandro Mella

Le origini dei Vigili del Fuoco Pontifici

Lo Stato della Città del Vaticano è il più piccolo stato indipendente del mondo poiché conta meno di mille abitanti ed è distribuito su poco più di 0,44 kmq.
Il Capo dello Stato, il Sommo Pontefice della Chiesa Cattolica, regna quindi su una piccola nazione racchiusa nella città di Roma, vera e propria enclave nel territorio italiano. Prima del 1870, com’è noto, gran parte del centro Italia si trovava sotto la sovranità dello Stato Pontificio prima che quest’Entità nazionale venisse notevolmente ridimensionata a seguito dell’annessione della “Città Eterna” al Regno d’Italia.
Il Servizio antincendi dello Stato della Chiesa, le cui origini risalivano al periodo d’annessione all’Impero di Francia di Napoleone Bonaparte, finì con il tempo per ridimensionarsi notevolmente. Il problema apparve immediatamente assai grave poiché, ieri come oggi, il territorio della Santa Sede era un vero e proprio scrigno ricolmo di preziosi documenti, di biblioteche, di tesori storici ed artistici i quali, per loro stessa natura, erano costantemente esposti al pericolo di incendi . La questione si trascinò a lungo, almeno fino a quando, nel 1929, i Patti Lateranensi posero fine alla contesa tra il Vaticano e l’Italia ed il conseguente periodo di distensione e di rinnovata amicizia consentì un ammodernamento dello Stato Pontificio ormai improcrastinabile.
Valga come esempio il ricordo del grave incendio che, nel 1904, spinse il Sindaco di Roma, Don Prospero Colonna, e l’allora Sottosegretario Ronchetti ad essere le prime autorità italiane ad entrare in Vaticano dopo il 1870. Tutto iniziò quando il bibliotecario, Padre Ehrle, venne informato di un piccolo focolaio che si stava sviluppando in una stanza dove un miniaturista, preso dalla propria arte, ne aveva cagionato il divampare senza neanche rendersene conto. Questi avvisò quanto prima il Segretario di Stato Cardinale Merry del Val, il quale comprese immediatamente il pericolo che poteva rappresentare quell’incendio. In pochi istanti il rogo avrebbe potuto scatenare tutta la sua furia distruttiva di fronte alla quale la pur lodevole, ma nei fatti insufficiente opera delle quattro o cinque Guardie del Fuoco a disposizione sarebbe valsa a poco.
L’intervento dei pompieri romani fu giocoforza invocato, pertanto, tra lo stupore generale degli alti prelati presenti i quali avevano recepito quell’appello come un motto sacrilego pronunciato tra le Sacre Mura pontificie. I Vigili del Fuoco italiani in Vaticano?
Certo si trattava di una mossa protocollarmente azzardatissima, poiché la crisi diplomatica era aperta da decenni ed il Concordato ben lungi dall’essere soltanto ipotizzato. Ma il Cardinale non si fece intimidire da quella Corte di porporati che forse avrebbero preferito le fiamme al sacrilegio e prontamente raggiunse gli alloggi papali. Messo di fronte a tale potenziale disastro il Santo Padre Pio X rispose:“Chiami chi vuole, Eminenza, purché la bella biblioteca sia salva!”Un caso, un semplice caso, fece dei pompieri della Città di Roma, celermente partiti dalla caserma di Via Genova ed accorsi in ausilio ai colleghi pontifici, i primi e veri precursori del Concordato tra il Regno d’Italia e lo Stato della Chiesa.
Nonostante le già accennate polemiche politiche, la giusta scelta compiuta dal Sommo Pontefice rese evidente il grave rischio derivante dall’assenza di un efficiente servizio antincendi e si rese necessaria la costituzione di un’apposita commissione   d’inchiesta, presieduta nientemeno che dal Cardinale Achille Ratti, il futuro Papa Pio XI.

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L'insegna posta presso la caserma del Cortile Belvedere. (Concessione Corpo VVF SCV)

L’incidente, tuttavia, non fu sufficiente a dare l’impulso necessario perché venisse sviluppata una nuova organizzazione e, per molti anni ancora, rimasero in servizio soltanto sei pompieri posti al comando di un graduato e muniti di poca, insufficiente attrezzatura.
Negli anni a seguire il carico di lavoro fu tanto modesto che si decise di affidare loro sia il servizio di centralino telefonico che, successivamente, il ruolo di ascensoristi presso il cortile di San Damaso, dove avevano sede e anche il Papa Benedetto XV, sottolineando così la loro pur vigile inoperosità, ebbe a scrivere su una dedica che riconosceva i meriti dei suoi pompieri, ma si augurava di non dover mai necessitare della loro opera:“Benediciamo di cuore le guardie del fuoco nel Vaticano, coll’augurio che non abbiano mai a spegnere incendi, perché noi siamo anticipatamente persuasi del valore che nell’eventuale circostanza saprebbero dimostrare”
Successivamente al Concordato del 1929 si iniziò a poter contare seriamente e liberamente sull’opera dei pompieri italiani della Città di Roma, i quali, negli anni immediatamente successivi, ebbero occasione di intervenire tre volte nel territorio Vaticano: nel 1930, a seguito del crollo di un’ala della biblioteca che aveva causato la morte di sei persone; nel 1943, in seguito ad una controversa incursione aerea e, infine, nell’estate del 1945, quando un incendio si sviluppò in un deposito di alimentari destinati alle popolazioni colpite dalla guerra appena passata. Ma in questo caso la loro opera fu limitata poiché, come vedremo, i colleghi della Città del Vaticano, ormai meglio organizzati e muniti dei mezzi necessari, avevano già domato autonomamente il rogo. Infatti, nel corso del 1941, regnante Sua Santità Papa Pio XII, si decise di riorganizzare seriamente i Vigili del Fuoco del Vaticano, poiché il conflitto in corso, destando comprensibili preoccupazioni, suggeriva di munirsi di un’organizzazione efficiente ed autonoma. Furono presi in servizio dieci vigili, opportunamente formati ed accasermati in nuovi locali prospicienti il cortile bramantesco del Belvedere. Il Corpo, affidato alla protezione di Sant’Antonio Abate, si rese prontamente attivo in tutte le necessità di soccorso del pur piccolo territorio

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Autoscala con personale negli anni '60-'70. (Concessione Corpo VVF SCV)

di propria competenza. Di questa operosità ne troviamo ulteriore traccia sul quotidiano torinese “La Stampa” che, nel numero del 12 Maggio 1944, scriveva:“Nella mattinata del 5 Maggio numerosi quadrimotori alleati hanno lanciato numerose bombe esplosive ed incendiarie sul territorio papale, bombe che hanno provocato incendi – fra cui uno al Belvedere – che non hanno potuto essere estinti se non dopo parecchie ore di intenso lavoro da parte dei soldati e Vigili del Fuoco del Vaticano.”
Le ricerche esperite in merito a quest’azione dell’aeronautica alleata non hanno fornito ulteriori elementi di prova ed è ipotizzabile che si sia trattato di una notizia diffusa dalla propaganda della Repubblica Sociale Italiana, anche se è opportuno segnalare che pure “Il Messaggero”, quotidiano della Capitale, riferiva di un’incursione con mitragliamenti avvenuta nella stessa data sul quartiere del Quadraro.
Finita la guerra, l’organico dei Vigili del Fuoco pontifici aumentò leggermente, così come riportato in un breve appunto pubblicato sulla rivista “Antincendio”. Nel 1956 erano presenti un Ufficiale, il Tenente Ing. Giulio Buffato, un Maresciallo, due Brigadieri e quattordici Vigili, ognuno munito di un “mestiere” al fine di poter disporre di persone capaci d’affrontare con perizia ogni intervento. Una rete idrica collocata presso la Cappella della Madonna di Lourdes forniva acqua, grazie a due serbatoi ed una centrale di alta pressione, in tutta la Santa Sede. I Vigili, divisi su due turni, avevano tra l’altro il compito di visitare due volte al giorno tutti gli stabili del Vaticano, secondo percorsi prestabiliti e controllati, passando per palazzi, sotterranei e gallerie tra le 17.30 e le 19.30 e tra le 22.30 e le 24.00. La puntualità era garantita da un sistema di orologi che verificava il corretto passaggio della cosiddetta “ronda preventiva”.
A quell’epoca le uniformi del Corpo, molto simili a quelle italiane, erano composte da un giacchino corto, pantaloni alla zuava di colore marrone (un po’ più scuri di quelli italiani), bustina, stivali in cuoio nero e cinturone con spallaccio tipo “Sam Brown” sempre marrone. Alla bustina ed al bavero veniva portato un fregio a fiamma sormontato dall’emblema della Santa Sede. Lo stesso fregio era collocato sull’elmetto di modello Pirelli/Violini. Nel tempo le tenute si sono

Immagine che mostra l'uniforme con cinturone di sicurezza ed elmo Violini/Pirelli. (concessione Corpo VVF SCV)

evolute seguendo di massima le nuove e più moderne dotazioni che il mercato ha reso disponibili, pur munendo sempre le divise di specifici fregi e mostreggiature specifiche.

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Il particolare fregio introdotto negli anni '50. (Rivista antincendio)

Fino all’anno 2002 il Corpo dei Vigili del Fuoco, così come quello della Gendarmeria, si trovava alle dipendenze della Direzione dei Servizi Tecnici del Governatorato. Fu da quell’anno che, in seguito alla Legge sul Governo dello Stato, venne creata la Direzione dei Servizi di Sicurezza e Protezione Civile che diede l’avvio ad una nuova riorganizzazione del Corpo, opportunamente riqualificato e formato presso le strutture del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco italiano e vestito con nuovissime uniformi più in linea con le normative attuali. Anche la sede di servizio ed il parco mezzi sono stati rinnovati e modernizzati portando il Corpo ad un livello di efficienza notevolissimo al fine di poter far fronte con competenza e consapevolezza ai gravosi compiti che gli sono affidati, partendo dalla sicurezza e prevenzione fino al soccorso tecnico urgente in ogni suo aspetto peculiare come i servizi antincendi, NBC e di primo soccorso.

A ciò si aggiunge la manutenzione garantita ad impianti antincendio ed estintori collocati presso le strutture della Città Stato del Vaticano, non ultimo l’eliporto presso cui vengono garantiti appositi presidi ad ogni spostamento del Santo Padre o di importanti Autorità in visita. Più rare le operazioni fuori dal territorio Vaticano, ma tra queste è importante ricordare la partecipazione del Corpo al recente sisma che, nel 2009, ha sconvolto l’Abruzzo. Otto Vigili del Fuoco vaticani hanno infatti prestato soccorso presso la cittadina di Onna portando il loro prezioso aiuto alle popolazioni colpite dal violento terremoto. A quel tempo il Direttore dei Servizi di Sicurezza e Protezione Civile, Domenico Giani, dichiarò:
“In questo momento, sono impegnati sul posto l’Ufficiale responsabile dei Vigili del Fuoco, l’ingegnere De Angelis, che è un ingegnere strutturale, esperto in questo campo. C’è una squadra composta da otto elementi, con alcuni mezzi dotati anche di sofisticati sistemi di protezione civile, e proprio per questi casi hanno portato dei materiali e delle altre cose per la popolazione, e si trovano ad Onna, in questo paese che è stato completamente distrutto, e stanno lavorando con i Vigili del Fuoco italiani e con le forze di polizia italiane in questo momento.”
L’attuale Ufficiale Addetto è l’Ing. Paolo De Angelis ed il Cappellano è Monsignor Giulio Viviani. Le funzioni religiose del Corpo si svolgono per lo più presso la Cappella di San Pellegrino ed i Santi Patroni del Corpo sono San Leone IV e Santa Barbara. Il primo viene ricordato per via della miracolosa e leggendaria estinzione, grazie alla benedizione apostolica impartita dalla loggia della Basilica Vaticana, dell’incendio in Rione Borgo nell’anno 847 e la seconda, Santa Barbara, viene festeggiata il 4 Dicembre data in cui si celebra anche il Corpo stesso.
Oggi, come ieri, il Corpo dei Vigili del Fuoco del Vaticano rappresenta un’importante e vigile sentinella posta a tutela del più grande patrimonio culturale e storico dell’umanità.

 

Ringraziamenti
L’autore desidera ringraziare i colleghi della Città Stato del Vaticano ed in particolare il Comandante Dott. Ing. Paolo De Angelis per la cortesia e disponibilità.

Un ulteriore ringraziamento a Claudio Gioacchini, Enrico Branchesi e Marcello Giovanni Novello.

Fonti

Rivista “Antincendio”, Anno 1957, P. 335

Rivista “Il Pompiere Italiano”, Anno 1932, P. 22

Quotidiano “La Stampa” edizione del 12 Maggio 1944

Quotidiano “Il Messaggero” edizione del 05 Maggio 1944

Quotidiano “La Nazione” edizione del 01 Gennaio 1932 X E.F.

http://www.vaticanstate.va/IT/Servizi/Direzione_SdS_VVFF/corpo_dei_vigili_del_fuoco.htm

(Consultato il 05/11/2011)

http://it.wikipedia.org/wiki/Corpo_dei_Vigili_del_Fuoco_dello_Stato_della_Citt%C3%A0_del_Vaticano

(Consultato il 06/11/2011)

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Incendio ai Mercati Generali 1943

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INCENDIO AI MERCATI GENERALI

1943,
il nostro bel paese si trovava in piena crisi, una data che ci ricorda subito l’ultima guerra, erano passati pochi giorni da quando gli alleati conquistarono la Sicilia con l’intento di avanzare verso nord costringendo il Regno d’Italia alla resa, cercando di provocarne la fuoriuscita dell’Asse. Queste operazioni portarono morte e distruzione in molte città Italiane, gli Anglo-Americani pur di cacciare l’invasore tedesco non esitavano a bombardare ogni punto cruciale; i loro quartier generali, obbiettivi sensibili come scali ferroviari, porti, aeroporti e strade di collegamento importanti. Per i vigili del fuoco ci fu gran lavoro, il più straziante era il recuperare le vittime rimaste sotto le macerie, spegnimento di incendi, messa in sicurezza di stabili pericolanti ecc. Nonostante tutto questo vi erano sempre gli interventi ordinari, quelli che purtroppo accadono ancora oggi, si va dal banale danno d’acqua all’incendio di vaste proporzioni.

Ed è proprio di un incendio impegnativo che questa ricerca racconterà. Era il 16 giugno del 1943, in via Genova di turno al centralino il vigile Monti, alle 18:30 dopo aver risposto al telefono e dato l’allarme, notifica un incendio presso i mercati generali tra via Ostiense e via Francesco Negri, sembrava bruciassero dei banali legnami. Non essendo stata specificata la gravità del sinistro venivano inviate semplicemente, la I celere e la I ordinaria. (La celere si intende un piccolo autocarro veloce, attrezzato per la preparazione dell’intervento all’arrivo della partenza ordinaria, se di importate rilevanza) In questo caso veniva accertato che si trattava di un incendio nella zona centrale di un grande reparto all’interno dei mercati generali, confinante con via Francesco Negri. All’ arrivo dei vigili l’incendio aveva già assunto vaste proporzioni, facilitato dalla grande abbondanza di materiali infiammabili. Nelle immediate vicinanze del rogo non erano presenti idranti, l’incendio necessitava di una grande quantità di acqua. Immediatamente vennero richiesti alla caserma centrale l’invio di tutte le autobotti disponibili coinvolgendo anb 001ca 001he quelle del servizio comunale, nonché di altre partenze dalla vicina sede Ostiense. Sul posto a dirigere le operazioni in primo momento vi erano gli Ufficiali Riccardo Calpini e l’Ing. Oriani, successivamente assumeva la direzione dell’intervento l’Ing. D’Acierno. Diffusasi la notizia in tutta Roma, anche il Direttore Generale dei Servizi Antincendi Alberto Giombini, si intrattenne lungamente sul luogo dell’incendio. Nel frattempo che le fiamme continuavano ad alimentarsi aiutate dal forte vento, i vigili tentavano di arginare il fuoco con miseri getti d’acqua provenienti da alcune cassette per l’innaffiamento esistenti nel mercato. Il personale della I orinaria provvide allo stendimento di una lunga condotta da 70 mm attaccata ad un lontano idrate sulla via Ostiense, anche qui i risultati furono scarsi, all’erogazione l’acqua usciva con una minima pressione. Ormai in quella zona più o meno circoscritta vi era un gran fervore, il fuoco minaccioso era sotto il tiro dei vigili che, anche se con poco materiale estinguente riuscivano appena ad arginarlo e ad arrestare il suo propagarsi. La prima autobotte mandata dalla centrale fece il suo arrivo, i vigili accorsi per primi poterono finalmente tirare un sollievo, mentre un primo e poderoso getto da 70mm andava a proteggere la parte estrema del reparto interessato, un punto dove anche la grande tettoia dello scalo ferroviario interno ai mercati poteva rimanerne coinvolta. Nel frattempo, e prima che fosse possibile disporre di getti di acqua da 70mm ad erogazione continua, il fuoco, negli altri reparti e proprio nel punto dove era iniziato il tutto divampava nuovamente e sempre più violento. Il forte vento di levante ed il materiale contenuto nei vari reparti interessati non fecero altro che accrescere la violenza del fuoco. Le autobotti richieste erano arrivate, portando con se la ragione della vittoria sul fuoco, e proprio quando i vigili ormai allo stremo delle proprie forze, dopo poco si ebbe la ragione definitiva del sinistro. Circoscritto il fuoco, iniziò il lungo lavoro per lo spegnimento di innumerevoli focolai, una bonifica che interessava sia l’interno dei mercati generali che l’esterno in via Francesco Negri.
Il lavoro si pote’ considerare concluso intorno alle ore 22:30, gli automezzi e gli uomini rientrarono nelle proprie sedi, ma venne lasciato sul posto fino alle ore 03.00 del mattino, una sola squadra di sorveglianza. Durante l’intervento ci fu una considerevole collaborazione da parte di alcune squadre antincendi del genio e dell’aeronautica. Vennero impiegati per l’intervento; la I celere, otto partenze ordinarie, dodici autobotti con 180 vigili, ventuno autobotti del comune provvedevano al rifornimento idrico. Furono versati sull’incendio circa 800 metri cubi di acqua, si consumarono 650 litri di benzina e 1450 litri di gasolio. Durante l’intervento ci fu anche il crollo parziale di un padiglione che travolse un militare del genio ed il vigile Boccalati Ludovico del corpo di Vercelli, i due soccorritori riportarono solo lievi ferite. E’ da tener presente che l’incendio pote’ assumere vaste proporzioni per l’assoluta mancanza di riserve d’acqua nell’interno dei mercati, per la scarsità e la distanza degli idranti dalla zona dei mercati stessi. Le cause dell’incendio rimasero ignote. I danni ammontarono a circa 2.000.000 di lire.

 

 

Dalla relazione del Geometra Calpini
del 16/06/1943 n° 7353                                                                                                             GSVVFRoma

E.B.

                                                                                                                                                                                                 ….

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Restauro a Sant’Ignazio di Loyola – 1962

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CHIESA  SANT’ IGNAZIO  DI  LOYOLA

RESTAURO  DEL  DIPINTO REFFIGURANTE LA FINTA CUPOLA

di Claudio Morganti

    C’è un episodio in cui i vigili del fuoco di Roma, hanno prestato la loro opera, per un’operazione volta alla recupero  e alla conservazione del patrimonio artistico  e culturale della  città. E’ accaduto nell’anno 1962, e si trattava di un’importante dipinto, conservato nella chiesa di Sant’Ignazio di Loyola, inserita nell’omonima piazza, sede dei Padri Gesuiti. Di questo fatto non si è conservata nessuna memoria nella storiografia dei vigili di Roma, pertanto è stato dimenticato  dai più anziani, e completamente ignorato dai più giovani.
Ora, per cercare di colmare questa lacuna, affinché un tratto della nostra storia non vada perduta, su sollecito di un amico- meritoriamente impegnato nella ricerca di memorie mi accingo a parlarne, anche se sono trascorsi ormai 50 anni, poiché ne fui protagonista insieme a un’altra trentina di colleghi, guidati dal  nostro Comandante ing. Giuseppe Oriani. Premetto, e mi scuso per questo, che questo racconto potrebbe contenere qualche imperfezione o omissione, poiché vado a memoria , il tempo trascorso è molto, e spesso non aiuta i ricordi.
Secondo la storia, la chiesa fu’ costruita tra il 1625 e il 1680  in piena epoca Barocca, e nel progetto  iniziale era prevista una cupola, posta all’incrocio  tra la navata centrale e il transetto.
Però i denari erano finiti  e la cupola non si potette costruire.  Si decise all’ora  (forse in via provvisoria), di fare una cupola finta cioè, realizzare  un dipinto prospettico, in modo che l’osservatore, ponendosi in un punto preciso del pavimento,  avesse la sensazione di trovarsi sotto una vera cupola.  Intanto si era giunti nel  1710, e l’opera fu’ affidata  al  Padre Gesuita Andrea  Pozzo; famoso architetto e pittore dell’epoca, molto abile nelle  prospettive. (da vedere anche la volta a botte della navata centrale).
L’artista realizzò il dipinto su un telo circolare  con un diametro di 16 metri, tanto era il  tamburo su cui doveva poggiare la cupola in muratura.  Il  telo  fu’ sostenuto da  una robusta intelaiatura in legno, che per  ragioni di dimensioni e di peso venne diviso in tre parti, con  due tagli paralleli al diametro,  collegate sul posto  con chiavarde e staffature. La  sua posizione è ubicata a 20 metri dal pavimento. Passò il  tempo, la cupola  non venne più costruita, e il telo/cupola rimase al suo posto per circa 250 anni.  Durante tutto questo tempo,  la polvere, il fumo delle candele, la patina del tempo, e causa anche dell’ incendio di un baldacchino durante un funerale,  e altre cause. La pittura aveva perso la sua lucente freschezza e vivacità, il restauro s’era reso necessario ed urgente.
La tela , causa il tempo, s’era resa friabile; l’intelaiatura in legno era deteriorata  insieme a tutta la ferramenta di staffaggio, inoltre era pesantissima.  Sganciarla dai vincoli murari calarla a terra senza  danneggiarla era un’impresa che avrebbe preoccupato chiunque.  Io non so’ come sia avvenuto, e quali siano stati i motivi, ma l’incarico di svolgere quel compito fu’  assunto dal nostro Comandante: l’ing. Oriani. Un valente Comandante che  ricordo con ammirazione, tra tante cose, fece costruire lo stabilimento balneare di Torvajanica, nel 1963.
Sul luogo venne costruito un traliccio circolare di 16 metri di diametro, per un’altezza di metri 1,20. (fig.1) Furono collocate 16 carrucole di rinvio, lungo il perimetro, facenti capo ad altri verricelli a manovella, collocati su un muretto di rialzo  al di sopra del telo da tirare giù. Il traliccio fu’ sollevato con movimento lento e simultaneo dei verricelli, fino ad appoggiarlo sotto il telo dipinto. Previa imbottitura, onde evitare il contatto diretto del ferro con la tela, per non rischiare di rovinarla.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                     (fig. 2 lato A)  Il dipinto ormai poggiante sul traliccio, liberato dai vincoli della muratura, fu’ calato a terra con un movimento inverso dei verricelli. Fu’ smontato e trasportato in laboratorio dai tecnici del restauro.
Il movimento dei verricelli fu’ eseguito dai vigili del fuoco del comando di Roma, sotto l’occhio vigile del Comandante.     Occorsero due vigili per ogni verricello, che operarono con sentimento tecnico e disciplina,  affinché il pesante traliccio  si sollevasse perfettamente in piano, senza squilibri o posizioni fuori piano che  potevano causare pericolose oscillazioni.  Per questo, uno di noi scandiva con il megafono i giri delle manovelle,  onde evitare i suddetti pericoli.  Fu’ una bella faticaccia, nonostante il rapporto con vite senza fine, la manovella del verricello era molto dura a girarsi;  in due persone ce la facevamo appena.    Per sollevarlo ad altezza dovuta, circa 20/25 metri, occorsero quattro/cinque ore di lavoro, i vigili le impiegarono con devozione, sacrificando  anche il tempo libero.
Dopo qualche mese, terminato il  restauro, il dipinto fu’ agganciato sotto  il traliccio e tirato  nuovamente su, col il già descritto movimento dei verricelli , e sistemato nella sua sede originale.
Con questa operazione il traliccio è divenuto il supporto permanente del quadro/cupola, FIG. 2 lato B, pronto ad  essere di nuovo calato ogni volta che se ne presentasse la necessità.
Quel dipinto, ritornato a nuova vita dopo il restauro, (fig. 3) è ora visibile a chiunque voglia ammirarne la sua bellezza, recandosi in quella chiesa, senza trascurare il cuore della sua storia, resa possibile anche nell’anima dei vigili del fuoco di Roma.
Nella (fig. 4) e’ visibile un modellino in gesso dell’epoca di come avrebbe dovuta essere la cupola se fosse stata costruita

fig.1

 

                                  

                                  
fig. 2

 

 

 

 

 

fig. 3

 

 

fig. 4

 

 

 

 

 

 

I vigili di Roma intenti alle operazioni.

 

 

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L’Associazione Nazionale Nastro Tircolore

                                                                                                                                                                                                                                                                                                .

L’Associazione Nazionale Nastro Tricolore

di Alessandro Mella

 

Un ringraziamento speciale a: Antonio Bianco, Alessandra Rutigliano ed agli amici del Gruppo Storico VVF Roma

 

 

Il valore civile

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Molte delle onorificenze e degli ordini cavallereschi europei hanno origini piuttosto antiche. All’indomani della proclamazione del Regno d’Italia, il 17 marzo 1861, la nazione appena unificata ereditò gran parte del sistema premiale dell’ormai ex Regno di Sardegna. Tra gli ordini e le onorificenze vi erano le medaglie concesse al valore civile. Fu nel 1851, il 30 di aprile, che il Re Vittorio Emanuele II le istituì la prima volta per colmare un vuoto ormai fortemente sentito[1]. Il suo regno, infatti, disponeva dei valori militari e dell’Ordine militare di Savoia (d’Italia dal dopoguerra) per premiare i soldati ed ufficiali che si erano dimostrati particolarmente meritevoli in azioni di carattere bellico e militare ma non aveva alcuna specifica decorazione che potesse gratificare coloro i quali si erano resi protagonisti di gesta straordinarie nella quotidiana vita del paese. Nacque con questo spirito il concetto di “valore civile” che dal Piemonte fu poi esteso a tutta Italia all’indomani della sospirata unificazione nazionale. Al termine del secondo conflitto mondiale anche il sistema premiale italiano fu gradualmente modificato ed armonizzato dalle istituzioni della Repubblica Italiana. A tal fine anche le ricompense al valore civile furono oggetto di una accurata rivisitazione con la legge 13 del 2 gennaio 1958. Il fine era quello di "premiare atti di eccezionale coraggio che manifestano preclara virtù civica e per segnalarne gli autori come degni di pubblico onore" siano essi compiuti sia da singole persone che da reparti militari, enti, corpi ed istituzioni che avessero esposto coscientemente la propria vita a pericolo certo nel compiere l’atto meritorio. Tra questi, secondo la normativa, spiccavano: salvare persone esposte ad imminente e grave pericolo; impedire o diminuire il danno di un grave disastro pubblico o privato; ristabilire l’ordine pubblico, ove fosse gravemente turbato, e mantenere forza alla legge; arrestare o partecipare all’arresto di malfattori; compiere atti finalizzati al progresso della scienza o in genere al bene dell’umanità e tenere alti il nome ed il prestigio della Patria. Proprio per questo furono quindi istituite le medaglie d’oro, d’argento e di bronzo al valore civile e l’attestato di pubblica benemerenza. Le prime tre concesse dal Presidente della Repubblica su proposta del Ministro dell’Interno e l’ultimo direttamente da questi. Di norma, a meno che l’evento abbia i caratteri dell’atto coraggioso la risonanza nella pubblica opinione tali da permettere al Presidente una concessione diretta, la proposta viene vagliata da un apposita commissione comprendente un prefetto, un senatore, un deputato, due rappresentanti della Presidenza del Consiglio dei ministri, un generale dell’arma dei Carabinieri, un rappresentante della Fondazione Carnegie e un componente dell’amministrazione civile del Ministero dell’Interno[2].

 

L’Associazione Nastro Tricolore

Nel dopoguerra molti Vigili del Fuoco avevano ricevuto medaglie al valore civile a suo tempo meritate nel corso dei numerosi interventi di soccorso prestati nel conflitto appena terminato e non solo. Forse incuriositi dall’Associazione Nastro Azzurro (che allora come oggi raccoglieva i decorati al valore militare) alcuni pompieri decisero di fondare un sodalizio che potesse raccogliere attorno a se i decorati al valore civile, di tutti i corpi od amministrazioni dello stato o liberi cittadini, assumendo un nome che si ispirasse a sua volta al nastrino di quelle insegne. Con questo spirito nacque l’Associazione Nazionale Nastro Tricolore nell’ormai lontano 1958. In poco tempo l’organizzazione si guadagnò un vasto consenso al punto da ottenere il riconoscimento d’ente morale con il DPR 776 del 30 luglio 1966[3]. Molti nomi celebri aderirono di buon grado all’associazione e ci piace ricordare, tra i tanti, il celeberrimo comandante Stefano Gabotto che ne fu presidente ed accanito sostenitore ed il mai dimenticato maresciallo Mayer che le dedicò, quale segretario della medesima, tanta passione nel corso della sua lunga vita. Oggi ricopre la prestigiosa carica di presidente nazionale l’ing. Guido Parisi dirigente generale del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco. Tra le finalità previste dallo statuto del sodalizio vi sono, oltre al riunire i decorati e parenti di decorati, la tutela della memoria dei caduti al valore civile e dei valori per i quali essi si sono sacrificati nonché l’assistenza agli iscritti ed alle loro famiglie. Proprio per questo nel corso degli ormai diversi decenni di attività esso si è occupato di numerose iniziative quali quella di promuovere l’intitolazione di vie e piazze a decorati caduti o la celebrazione della “Giornata del decorato[4]. Nel corso degli ultimi anni, dopo un periodo di grandi difficoltà legate anche al temporaneo passaggio della sede nazionale da Roma a Napoli, l’Associazione Nastro Tricolore ha ripreso con vivacità le proprie attività cercando di mantenere vivi i propri valori ed ideali anche attraverso un protocollo di intesa siglato con l’Associazione Vigili del Fuoco del Corpo Nazionale che ha permesso, tra l’altro, la partecipazione del medagliere a numerosi eventi di carattere civile e militare quali cerimonie e commemorazioni sempre con la scorta dei soci di quest’ultima contribuendo così ulteriormente a farne conoscere l’esistenza e soprattutto a mantenere vivi quei principi nobilissimi cui essa fa riferimento e che ne costituiscono l’irrinunciabile bagaglio etico e valoriale. Oggi il sodalizio affronta un momento certamente non facile dovuto al calo naturale dei propri iscritti poiché negli ultimi anni sono state limitatissime le concessioni di decorazioni al valore civile individuali a Vigili del Fuoco e soprattutto perché spesso ci sono difficoltà a raggiungere ed interessare quei decorati che non appartengono a tale categoria ma ad altri enti e corpi dello stato e che spesso ne sconoscono l’esistenza. Come se si fosse generata una curiosa tendenza a ritenere l’Associazione un poco settoriale e limitata a quel mondo (quello dei Vigili del Fuoco) che l’ha vista nascere e maggiormente vivacizzata nel corso degli anni. Una sorta d’equivoco che, grazie anche alle moderne tecnologie, forse si potrà sfatare con una finalizzata comunicazione che permetta a tutti di farne conoscere la natura assai variegata nonché le molte e preziose finalità. I valori, le idee e le speranze che da più di cinquant’anni la animano sono comuni ad ogni divisa, ogni uniforme ed ogni abito borghese e possono trovare sicuro rifugio, e soprattutto fertile terreno per crescere e germogliare, in ogni cuore. Ecco perché l’Associazione Nastro Tricolore continua e continuerà, seppur tra le mille difficoltà causate anche dal difficile momento storico ed economico europeo, a farsi promotrice di iniziative tese a perseguire tenacemente le proprie finalità con la speranza, sempre viva, che nuovi iscritti e nuovi simpatizzanti possano contribuire a garantirne la sopravvivenza anche nel nome dei generosi che un tempo la vollero, la fecero crescere e la difesero giorno dopo giorno.

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[1] http://www.quirinale.it/qrnw/statico/onorificenze/cennistorici/valorcivile.htm (19/02/2013).

[2] http://www.quirinale.it/qrnw/statico/onorificenze/ValorCivile/fonti_ValCivile_a.htm (19/02/2013).

[3] http://www.vigilfuoco.it/aspx/Notizia.aspx?codnews=11405 (19/02/2013).

[4] Mezzo secolo di pubblico onore, Guido Parisi, Obbiettivo Sicurezza numero 3 novembre 2008, p. 57.

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Incendi nel Mediovevo

 

LA LOTTA AGLI INCENDI NEL MEDIOEVO

 

Di Alessandro Fiorillo

 

 

Con la caduta dell’Impero romano d’occidente nel 476 d.C. e l’avvento dell’età medievale, della struttura romana della Militia Vigilum non rimase traccia. Quell’organizzazione, che affondava le radici nella Roma repubblicana, cessò d’esistere man mano che le città dell’Impero andarono spopolandosi, a favore delle campagne. Tuttavia gli incendi non vennero meno, e l’azione spontanea dei popolani era incentrata quasi esclusivamente sull’improvvisazione, con l’ausilio di mezzi occasionalmente reperiti. Oltre alla precarietà di un tale sistema, affidato ad operazioni dai risultati incerti, è evidente la visione trascurata di tutti i problemi connessi alla sicurezza antincendio, dalla mancanza di un sistema in grado di garantire la disponibilità delle risorse idriche, all’assenza di una qualsiasi pianificazione nella lotta agli incendi.

Tipico di questi tempi è l’atteggiamento delle popolazioni che identificavano negli incendi e nelle calamità dei castighi divini. Questa considerazione fatalistica, corredata da superstizioni e manifestazioni non reali, impediva la creazione di quelle istanze in grado di favorire la rinascita di un servizio antincendi organizzato (1). Significativa, in tal senso, è la narrazione secondo la quale nell’anno 847, durante l’incendio verificatosi nel quartiere romano di Borgo, fu il Papa Leone IV ad intervenire personalmente per domare le fiamme, sulle quali gettò i suoi paramenti sacri provocandone l’estinzione. Altro “metodo” per affrontare gli incendi e le calamità era quello di portare in corteo le spoglie del Santo Protettore o altre reliquie e simulacri. Tutti questi elementi testimoniano il senso d’impotenza dei popoli del medioevo di fronte agli incendi e agli eventi calamitosi.

Nei secoli successivi alla caduta dell’Impero, Roma fu continuamente travagliata da assalti e saccheggi, durante i quali spesso la città veniva messa a ferro e fuoco. Nell’846 gli arabi assaltarono l’Urbe, e le Basiliche di S. Pietro e S. Paolo furono gravemente danneggiate. Nell’849 i saraceni giunsero a minacciare nuovamente la città. In questo periodo di grandi turbolenze, il popolo romano si affidava principalmente al Defensor Urbis, il Papa, l’unico in grado di proteggere la città dalle sventure militari e naturali.

Nonostante tutto in molte province e località del Sacro Romano Impero sorsero associazioni di cittadini, prevalentemente artigiani e mercanti, il cui compito era quello di difendere il territorio dagli incendi e dalle calamità. Queste aggregazioni presero il nome di gilde, giure o associazioni di mutua guarentigia, e svolsero nel tempo una lodevole opera nel campo del soccorso e della lotta agli incendi.

Nel basso medioevo, sorse in Francia un’altra istituzione formata da “gente di mestiere”, i cui componenti erano reclutati all’interno della classe borghese. Sotto Luigi IX nel 1234 e con Filippo “Il Bello” successivamente questo organismo prese il nome di guet bourgeoise. Sempre nel XIII secolo anche in diverse città italiane si ebbe l’istituzione di corpi organizzati per la lotta agli incendi. L’organizzazione più nota fu quella delle Guardie del Fuoco, che vide la luce a Firenze nel 1416.

 

 

Note:

(1)   Una delle poche eccezioni fu rappresentata dal regno dei Franchi, dove già ai tempi di Clotario II (595) esistevano gruppi di cittadini cui era affidato il compito di sorveglianza, prevenzione e spegnimento degli incendi. Anche Carlo Magno, nell’ 800, promosse l’istituzione di gruppi coordinati di cittadini impegnati nella lotta agli incendi, senza però giungere a risultati duraturi nel tempo.

 

Bibliografia:

Roma città del fuoco, 2002.

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Angelo Luswergh 1793-1858

di Enrico Branchesi e Claudio Gioacchini

Famiglia con origini bavaresi, Angelo Luswergh nacque a Roma nel 1793, dove impiantò uno stabilimento fotografico, in via del teatro Valle, che gestiva insieme al figlio Giacomo.

Angelo all’età di 19 anni entrò a far parte della grande armata napoleonica, partecipando alla campagna di Russia del 1812-1813; reduce di guerra venne decorato con la medaglia di Sainte Hélène, riconoscimento per aver fatto parte dell’esercito di Napoleone.

Si arruolò quindi nei Pompieri pontifici, arrivando fino al grado di tenente; qui si distinse per le sue spiccate capacità come quella di “macchinista” ovvero costruttore di strumenti scientifici, attività che svolse anche per l’Accademia dei Lincei e l’Università della Sapienza. Per conto dell’Osservatorio del Campidoglio costruì un macchina parallattica; lo stesso Pio IX rimase ammirato da tale magnificenza e innovazione.

Il 26 luglio 1829 il Comandante del corpo Pompieri di Roma, Giuseppe Origo, volle dare dimostrazione della resistenza al fuoco di abiti incombustibili, risultato di una ricerca da lui effettuata. I protagonisti della prova furono proprio Angelo Luswergh ed il vigile Domenico Marcelli che, indossando tali abiti,  riuscirono a passare più di dieci volte, per la durata di oltre quindici minuti, attraverso un corridoio incendiato alto due metri, appositamente costruito con materiali ignifughi; l’evento si svolse nella cornice dell’Anfiteatro Corea (così veniva chiamato all’epoca l’antico Mausoleo di Augusto).

Nel 1839 si ha notizia di elogi rivolti al tenente dei Pompieri per la costruzione di macchine idrauliche di notevole fattura particolarmente adatte agli incendi ed altri lavori del genere.

1) Pompa idraulica dell’epoca firmata da Giacomo Luswergh, figlio di Angelo. – 2) La stessa pompa in perfette condizioni arrivata fino ai nostri giorni. – 3) Placca stampata con la firma del costruttore.

Angelo Luswergh morì a Roma nel 1858 e le sue ceneri riposano nel cimitero monumentale della Capitale, nella antica area riservata ai vigili del fuoco di Roma ” il Pincetto”

Da i quaderni del gruppo storico dei romanisti

Niccolò Del Re – 2004

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Il servizio antincendi nacque …..

IL SERVIZIO ANTINCENDI NACQUE NELL’ EGITTO TOLEMAICO?

di Alessandro Fiorillo

Erone di Alessandria

Si è talvolta sentito affermare che forse qualcosa di simile ad un “servizio antincendi” nacque con la scoperta

stessa del fuoco[1]. Può apparire una frase di circostanza, ma probabilmente c’è in parte del vero, in quanto i nostri pro-genitori dell’era preistorica erano dediti alla “conservazione” del fuoco, necessario per i vari usi che andavano, come tutti sappiamo, dalla cottura dei cibi, all’illuminazione notturna, al riscaldamento, alla caccia e via dicendo. “Conservare” era sinonimo di controllare, gestire, in sostanza evitare che dal focolare acceso scaturisse un incendio incontrollato. Ecco pertanto che gli “scopritori” del fuoco furono a tutti gli effetti, fin da subito, “vigili” del fuoco.
Ma a parte queste speculazioni estemporanee che non troveranno mai una risposta precisa, se vogliamo risalire a quello che probabilmente fu il primo vero e proprio servizio antincendi organizzato della storia, dobbiamo arrivare all’Egitto del periodo tolemaico, ossia quello che vide la luce dopo che Alessandro Magno conquistò la regione, sconfiggendo e cacciando i persiani (dando così avvio all’età ellenistica). Gli egiziani videro in Alessandro un liberatore, e lo proclamarono Faraone. Alla sua morte un suo generale, Tolomeo I, divenne re d’Egitto e inaugurò una dinastia, quella tolemaica appunto, che regnò per 300 anni e finì con Cleopatra.
Il servizio antincendi oggetto di questa breve ricerca sembra che fu istituito come presidio per la maestosa Biblioteca di Alessandria, all’epoca centro del sapere “mondiale”. Si narra che ogni nave che entrava nel porto di Alessandria (illuminato dal grandioso Faro fatto costruire da Tolomeo I, rimasto in piedi per 1600 anni) doveva consegnare alla Biblioteca (affinché li copiasse) eventuali manoscritti presenti a bordo. La Biblioteca, poi, si dice che restituiva non l’originale ma la copia. E fu non a caso ad Alessandria che nacque (intorno al I sec. d. C.) un valente ingegnere, Erone, che costruì diverse macchine antincendio (per lo più modelli di pompe) e quello che venne ritenuto il primo estintore della storia[2].
Nonostante tutto, fu proprio un incendio a distruggere per sempre tutto il sapere del mondo antico raccolto nella grande Biblioteca di Alessandria. Ma il contributo che la classicità greca diede all’evoluzione dei servizi antincendi fu di fondamentale importanza. Fu un greco, tal Ctesibio, a fornire nel III sec. a. C. la prima pompa antincendio, l’Antlia Ctesibiana[3]. Fu quindi Erone di Alessandria, nel corso dell’età ellenistica, a perfezionare le macchine antincendio. Fu infine Roma, che più di ogni altro fece proprio lo spirito ellenistico della civiltà greca (cui riconobbe sempre l’indiscussa superiorità), che concluse l’opera con l’istituzione della Militia Vigilum, che perfezionava l’organizzazione di quei corpi antincendio già istituiti in epoca repubblicana e alle dipendenze di magistrati noti come Aediles Curules.

[1] Gli antropologi ritengono che l’Homo Erectus sia stata la prima specie umana a controllare il fuoco.
[2] Erone alessandrino inventò anche la prima macchina a vapore della storia (l’eolipila). Ma paradossalmente la rivoluzionaria invenzione non trovò alcun impiego, in quanto allora la forza lavoro era talmente a buon mercato (per la presenza degli schiavi) che semplicemente non serviva a nulla. Bisognerà aspettarela Rivoluzione Industriale per “riscoprire” la forza del vapore.
[3] In realtà, almeno all’inizio, questa invenzione di Ctesibio serviva a lanciare liquidi infiammabili nel corso delle battaglie, soprattutto navali. Venne poi utilizzata come pompa antincendio.

 

 

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Operazione Shingle – 1944

Operazione Shingle 

I Vigili del Fuoco c’erano?

di Alessandro Mella  

“Avevo sperato di lanciare sulla spiaggia di Anzio un gatto selvatico, mentre invece mi ritrovo sulla riva con una balena arenata!”

WINSTON CHURCHILL

 

Premessa 

Nel Dicembre del 1943, Churchill e Roosevelt si erano incontrati per fare il punto della situazione del conflitto in corso. Tra i tanti punti all’ordine del giorno ci fu l’ideazione di uno sbarco in Italia allo scopo di alleggerire la pressione esercitata dal nemico sui reparti impegnati a sfondare la linea Gustav per puntare verso Roma, in quel momento ancora occupata dalla armate germaniche. L’idea, suggerita proprio dal Primo Ministro britannico, parve trovare gelida accoglienza tra le gerarchie militari come conferma un appunto del Gen. Lucas, a capo delle operazioni, relativo proprio al ruolo di Churchill nella vicenda:

« L’intera faccenda puzza di Gallipoli, ed evidentemente sulla panchina dell’allenatore c’è sempre lo stesso dilettante »

Ed è noto che nel 1918 i nemici degli inglesi, gli ottomani, ebbero la meglio. Tuttavia l’operazione scattò il 22 Gennaio

Carri armati Sherman sbarcano ad Anzio-1944

1944 quando, alle 02.45, le truppe angloamericane misero piede sulle coste laziali.  Tuttavia, com’è noto, l’operazione non ebbe gli esiti sperati poiché, anche causa di una serie di errori strategici degli Alleati, il Maresciallo Kesselring, ebbe tutto il tempo di organizzare la resistenza tedesca. Il consolidamento della testa di ponte dell’Asse inchiodò gli inglesi e gli americani per moltissime settimane, al punto che i 50 kmche dividono Anzio da Roma furono percorsi e conquistati faticosamente in ben 4 mesi. Gli alleati vi persero ben 42.000 uomini contro i 25.000 dei tedeschi e quello che doveva essere un colpo di mano audace ed ardito divenne una vera e propria campagna militare, al punto che lo sbarco, l’Operazione Shingle, passò poi alla storia come “Battaglia di Anzio” per via dei numerosi scontri e combattimenti che precedettero l’ingresso degli angloamericani a Roma il 4 Giugno 1944.

 

 

I Vigili del Fuoco e l’Operazione Shingle

 Avevo sentito varie volte parlare di una presenza dei Vigili del Fuoco italiani in quel delicato contesto, ma ne trovai una sola traccia nell’autorevole volume “Oltre il fuoco”, pubblicato nel 1991.. Nel libro, l’autore,  l’Ing. Nicola Colangelo, narrava di come le autorità del Governo Militare Alleato avessero avuto la falsa notizia che i servizi antincendi nei territori occupati fossero inefficienti ed inattivi. Fu per questo motivo che si scelse del personale del 54° Corpo Vigili del Fuoco “Napoli” per costituire un reparto speciale da impiegarsi al seguito delle armate angloamericane. Aggregati a reparti secondari della V Armata, gli uomini, al comando dell’Ing. Sinigaglia, furono imbarcati su una tipica nave da carico classe “Liberty” e, in vista dell’avanzata verso Roma, sbarcati nel Maggio del 1944 dietro alle linee di combattimento. Grande sorpresa ebbero giungendo nella Capitale, non senza incontrare il fuoco nemico, quando scoprirono che malgrado le difficoltà e le ruberie d’automezzi da parte dei tedeschi in fuga dalla città, il Corpo di Roma era perfettamente in grado di soccorrere la popolazione. Fu forse per questo motivo che la colonna non si fermò a Roma ma, come riporta il libro citato, proseguì, insieme ai reparti antincendio del Genio del Corpo Italiano di Liberazione, al seguito dei reparti inglesi ed americani fino a Bologna, nel corso della loro lunga, ma vittoriosa “Campagna d’Italia”.

Due scatti fotografici

 Per molto tempo non avevo dato molto spazio a queste vicende, proprio perché mi mancavano riferimenti precisi sulla faccenda che avrebbe meritato, ed indubbiamente merita, un approfondimento qualora un domani documenti e notizie su questa pagina di storia piuttosto affascinante venissero a galla. Tuttavia, tornai a pensarci e decisi di dedicarvi un breve articolo per merito di due scatti fotografici recentemente scoperti e che, molto probabilmente, ritraggono dei vigili di quel reparto. Innanzitutto, a giudicare dalla poca marzialità e del disordine nelle divise delle persone ritratte, le cui cravatte non erano uniformi ed i baveri delle camicie erano portati sopra il colletto della giubba, ritenni di poter collocare quelle immagini dopo il 1943. Precedentemente, tali pratiche erano infatti punite severamente. Le giacche erano delle modello 1940 con i bottoni di frutto e le fiammette senza fascio littorio usate dal Settembre 1943 in poi. Ma colpiva l’uso del basco in capo alle persone ritratte. Ovviamente non si trattava di militi del Battaglione Santa Barbara, sciolto molti mesi prima, e, dato l’abbigliamento, nemmeno di personale del servizio portuale. Eppure il basco suggeriva un impiego in mare, proprio come i casi già citati. Ad eccezione dei paracadutisti, l’uso del basco in Italia era prerogativa dei reparti “da sbarco”, d’impiego “anfibio” o, comunque, marittimo. L’aspetto di quegli uomini era particolare e suggeriva che la foto fosse stata scattata molto avanti rispetto all’inizio del conflitto. I volti, poi,

Le due foto, molto probabilmente ritraggono alcuni Vigili della colonna AMG a Napoli poco prima della partenza. Collezzione Fabio Calò

 

sembravano avere tratti somatici simili a quelli molto diffusi nell’Italia meridionale. Iniziai a chiedermi se potessero essere i componenti di quel reparto che sbarcò ad Anzio proprio nel 1944. Date, particolari e dettagli potevano davvero sposare quella possibilità. Difficile avere la certezza assoluta, ma un ulteriore elemento di sostegno a questa tesi venne da un amico napoletano che, dopo aver visto le due foto della collezione di Fabio Calò, mi dette una notizia. Secondo Luigi Castiello, infatti, le foto erano state scattate a Napoli, nel quartiere Chiaia, presso la Scuola Carlo Poerio, che egli ben conosce e che ospitò spesso i reparti dei Vigili del Fuoco nel periodo bellico e con ogni probabilità anche la Centuria del Battaglione Santa Barbara destinata di rinforzo a Napoli nel 1942. Giova ricordare che la colonna era stata creata dell’Allied Military Government  proprio nella splendida città partenopea! Un altro tassello andava al suo posto.

 

Conclusioni

Il ritrovamento delle fotografie oggetto di questo studio non basta certamente a chiarire al meglio l’affascinante vicenda che vedrebbe i pompieri nuovamente protagonisti della grande storia di questo paese. Tuttavia, costituisce un grande passo avanti e va dato merito al libro del Comandante Colangelo di aver dato, molti anni fa, le prime timide notizie sulla vicenda. La storia ha sempre tante pagine da scoprire e forse questa troverà presto nuova luce man mano che particolari e dettagli potranno emergere dalle nebbie del tempo.

Soldati della Wehrmacht presi prigionieri di guerra nel corso dei combattimenti sul litorale Laziale

L’autore desidera ringraziare Fabio Calò, Luigi Castiello e Marcello G. Novello. 

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La colonna dell’Immacolata – 1856

LA COLONNA DELL’IMMACOLATA

Immacolata, 1856b copia

 

Alla ben nota destrezza ed abilità dei vigili romani, con a capo Don Michelangelo Caetani, fecero ricorso, nel 1856, le autorità pontificie per un incarico che esulava completamente dalla loro ordinaria attività professionale. Si trattava di un opera ardimentosa: innalzare in piazza di Spagna un’alta colonna in marmo, monumento voluto da Pio IX a ricordo dell’Immacolato concepimento di Maria Vergine, proclamato in Vaticano dalla stessa Santità l’8 dicembre 1854.
L’intero corpo dei vigili fu mobilitato per procedere nell’ardua operazione ed il 18 dicembre 1856, in soli trenta minuti, la colonna marmorea venne posizionata in verticale nel suo perenne basamento. Lo straordinario lavoro, sotto la direzione artistica dell’Architetto Cavalier Paoletti, fu possibile grazie all’impiego di una speciale macchin1957 (2)a ideata e costruita dal pompiere Gioacchino Machi con la collaborazione dei suoi colleghi. Vista la bravura dimostrata dagli uomini del corpo venne loro riservato l’onore di collocare in cima alla maestosa colonna la bellissima statua bronzea dell’Immacolata, opera dello scultore modenese Giuseppe Obici, il 5 agosto 1857.
Il Comandante Caetani, al termine del prodigioso lavoro che i suoi vigili avevano svolto, pensò di ricordare l’evento e gratificarli con una medaglia che ricordasse l’impresa.
Rivoltosi al facente funzioni, Senatore di Roma Don Vincenzo Colonna, il comandante propose di dare un riconoscimento a quei pompieri, questi, desideroso di premiare le lodevoli gesta, commissionò una medaglia d’argento per tutti coloro che avevano collaborato volontariamente e gratuitamente all’innalzamento della Colonna in onore dell’Immacolata Concezione. Giunse perfino a far pressione affinché il Ministro dell’Interno decretasse che detti vigili potessero indossarla sulle proprie uniformi.
In occasione dei festeggiamenti mariani dell’8 dicembre la gente prese a raccogliersi attorno al monumento di piazza di Spagna e la folla dei fedeli andò intensificandosi sempre più fino ad assumere, nel 1948-49, le proporzioni di oggi. Il Vicariato di Roma e la Pontificia Accademia dell’Immacolata incaricarono allora il Comando dei Vigili del Fuoco di valutare se fosse stato possibile deporre dei fiori direttamente presso la statua della Madonna posta in cima alla colonna.
I Vigili del Fuoco, che tanta parte e tanto merito avevano avuto nella storia di questo significativo monumento, risposero con entusiasmo a tale proposta e da allora, 8 dicembre 1949 (da questa data in modo continuativo poiché, tuttavia, vi sono tracce di occasioni similari nel passato e di deposizioni antecedenti il secondo conflitto mondiale), rinnovano annualmente la scalata di trenta metri per deporre tra le braccia dell’Immacolata l’omaggio floreale.

                                                                               Enrico Branchesi – GruppoStoricoVVFRoma

       

(N. Del Re M. Origo – 55)

(Arch. Capitolino)

 

                        1999 2                                                                     DSC_2580b copiaDSC_2550b copia

 

Nota integrativa:

Sul volume di Franco Bartolotti “Medaglie e Decorazioni di Pio IX 1848-1878”  all’anno XII al numero 15 viene riportata una medaglia, non illustrata, così  descritta:

D/ PIUS IX PONT MAX AN SACRI PRINCIPAT XII Sotto: B. ZACCAGNINI F. Busto a  destra con triregno e piviale
R/ OB ERECT COLUM CONC IMM B.M. V DIC Sotto: B. ZACCAGNINI F. Statua  dell’Immacolata Concezione.
Diametro di 26,3 mm
Il libro di Bartolotti la riporta in bronzo e la descrive come una  Emissione del Ministero del Commercio a ricordo della erezione del  monumento.
Viene segnalata come presente nel museo della Zecca di Roma.
Per coloro che non hano studiato latino segnalo che OB significa PER…  quindi la legenda del retro è da leggere come “Per l’erezione della  colonna…”
 (Si ringrazia A. Brambilla – A.Mella – L. Castiello)

 

 

 

 

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Il servizio antincendi nell’antica Roma

IL SERVIZIO ANTINCENDI NELL’ANTICA ROMA: DAI TRESVIRI NOCTURNI AGLI AEDILES CURULES

di Alessandro Fiorillo

Spesso si parla della Militia Vigilum come del primo corpo organizzato di vigili del fuoco nella storia. Questo in realtà è vero solo in parte. Diciamo che il corpo organizzato da Augusto nella Roma del 6 d.C. è l’espressione della massima efficienza raggiunta, per il periodo, attraverso la riforma e gli “aggiustamenti” effettuati sugli istituti cittadini che già da tempo si occupavano di prevenzione ed estinzione degli incendi. Tralasciando il fatto che in realtà veri e propri addetti antincendi esistevano fin nell’antico Egitto, analizziamo in questa pagina come si arrivò all’istituzione della Militia Vigilum e quali erano le istituzioni che prima di questa si occupavano degli incendi a Roma e nelle principali città ad essa collegate.
Nelle Province erano i Collegia Faborum e Centonarii ad occuparsi dei servizi antincendi, corporazioni di mestiere istituite già nella Roma arcaica. Nella città di Roma, intorno al 289 a. C., erano invece attivi i tresviri nocturni o capitales, magistrati che garantivano la vigilanza antincendio e la tutela della pubblica sicurezza, che avevano alle loro dipendenze schiavi e servi pubblici addestrati allo spegnimento del fuoco. Conosciamo poco sul loro numero effettivo e sull’organizzazione della loro struttura, sappiamo soltanto che le loro caserme si trovavano nei pressi delle Mura Serviane. Nel 186 a.C. altri funzionari, i quinqueveri cis Tiberim o Cistiberes, addetti appositamente al servizio di sorveglianza contro gli incendi, vennero affiancati ai tresviri nocturni. Svolgevano il loro compito di prevenzione degli incendi vigilando per le strade della città.
Altra città che condivide con Roma il primato della difesa contro gli incendi, è Napoli. A Neapolis nel 289 a.C. vigilavano gli “Spegnitori”, schiavi addetti al servizio antincendi, la Familia Publica, un corpo di spegnitori in perlustrazione continua per la città, e la Familia Privata, costituita da popolani che si prestavano dietro compenso.
Bisognerà attendere la fine della Repubblica e l’avvento dell’Impero per assistere ad una radicale trasformazione del servizio antincendi. Ottaviano Augusto, nel 22 a.C., affidò l’organizzazione e la responsabilità del servizio antincendi agli Aediles Curules, magistrati posti a capo di un corpo costituito da 600 servi pubblici che avevano l’incarico specifico di spegnere gli incendi.
Gli Aediles Curules erano magistrati eletti in numero di due dai comizi tributi con diritto alla sella curulis (sedile pieghevole ornato d’avorio, simbolo del potere giudiziario), da cui questa denominazione per distinguerli dagli Aediles Plebis. Come questi ultimi, erano addetti anche alla sorveglianza sul commercio pubblico, compreso quello degli schiavi, all’approvvigionamento delle città, alla cura delle strade, degli edifici e dei luoghi pubblici, all’allestimento dei giochi pubblici.
In realtà, oltre a questo corpo pubblico di addetti antincendi, diversi cittadini privati organizzarono delle loro specifiche squadre di addetti antincendi, composti da schiavi. La loro presenza si giustificava con l’elevato numero di incendi che continuavano a minacciare la città e con l’insufficiente azione di contrasto effettuata dal corpo alle dipendenze degli Aediles. Spesso in caso d’incendi questi privati cittadini, in cerca per lo più di benemerenze e d’entrare nelle grazie dei funzionari pubblici, offrivano gli uomini delle loro squadre per operare gli interventi di spegnimento a fianco delle squadre guidate dagli Aediles.
In seguito Augusto, convinto della necessità di rafforzare il servizio antincendi, divise il Corpo in Compagnie o Brigate ripartite in quattordici Regioni urbane con a capo un prefetto da cui dipendevano dei vica magistri e appunto gli Aediles.
Attraverso questi vari passaggi si arrivò progressivamente all’organizzazione di una vera e propria milizia speciale alle dirette dipendenze dello Stato, il cui compito era quello d’individuare e formare un concentrato specializzato di uomini impegnato unicamente nella difesa dell’Urbe dagli incendi, la Militia Vigilum appunto, di cui abbiamo sommariamente già accennato in un altro
articolo.

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Olimpiadi di Roma – 1960

OLIMPIADI di ROMA 1960
Affermazione prestigiosa dei Vigili del Fuoco

 

di Enrico Branchesi

NINO BENVENUTI

Ai XVII Giochi Olimpici, svoltisi a Roma, partecipò anche il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco con una nutrita squadra di atleti: cinque ginnasti, un pugile, due nuotatori e due pesisti.

Il pugile, era in servizio presso le Scuole Centrali Antincendi, gareggiava nella categoria dei pesi welter e riuscì ad imporsi guadagnando la medaglia d’oro. Si trattava del nostro carissimo Nino Benvenuti che sconfisse il sovietico Radonyak.
Benvenuti aveva già conquistato nel 1957 – 1959 il titolo di campione europeo, per la categoria welter pesante.

Paolo Galletti, il nuotatore, era un vigile del fuoco volontario nella città di Firenze e portò la maglia azzurra difendendo il primato italiano dei 400 metri stile libero.

Andrea Borgnis con Luciano De Genova scelsero la specialità atletica del sollevamento pesi. Borgnis, un milanese, della categoria massimi – leggeri, sollevò da terra, in sole tre prove, 407,5 Kg.
De Genova, iGiovanni Carminucci l biondo molto noto in atletica come una persona semplice e tenace, riuscì ad entrare in nazionale nonostante una brutta operazione al ginocchio sinistro.

Altra affermazione importante arrivò nella specialità della ginnastica artistica. I vigili che si impegnarono con la squadra che si cimentava in questa disciplina appartenevano ai comandi di Milano, Torino, Venezia, Genova e delle Scuole Centrali Antincendi di Roma.
La preparazione sportiva della ginnastica artistica richiese anni di lavoro per raggiungere una formidabile tecnica di allenamento.
Le gare di Roma furono le prime, dopo quelle di Los Angeles del 1932, in cui gli italiani, Neri e Guglielmetti, guadagnarono la medaglia d’oro sulle parallele e sul volteggio a cavallo. Nella competizione di Roma ’60 la medaglia d’argento venne conquistata da Giovanni Carminucci nelle parallele, il vigile rappresentò un’affermazione individuale di importantissimo rilievo.

Nella ginnastica a squadre i ginnasti del Corpo Nazionale portarono il loro contributo conquistando la medaglia di bronzo.
Le affermazioni in campo Olimpico della nostra Amministrazione furono merito di quei gruppi sportivi che seppero operare con diligenza e serietà favorendo proprio il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco anche curando appassionatamente la formazione dei propri atleti.

Al riguardo non possiamo dimenticare il nome del professor Enrico Massocco, Direttore Ginnico Sportivo delle Scuole Centrali Antincendi, che da molti anni si dedicava con entusiasmo alla preparazione ginnica, ottenendo risultati molto soddisfacenti dall’addestramento del vigile del fuoNino Benvenuti co, strettamente in sintonia con l’attività professionale e quotidiana che li distingue. Il metodo organizzativo del professore consisteva nel curare assiduamente la preparazione dei migliori atleti. La sua capacità di motivare le persone e la sua autorità contribuirono a portare alla realizzazione di una serie di brillanti successi nelle Olimpiadi di Roma e negli eventi sportivi dei decenni successivi.

Per tale competizione, Roma, venne presa d’assalto dai tanti appassionati delle varie discipline, la città vide aumentare in modo notevole il volume del traffico urbano, hotel e campeggi divennero praticamente stracolmi, quindi anche i pericoli ed i rischi aumentarono notevolmente. Per l’occasione venne istituito un nuovo servizio dai vigili del fuoco di Roma: le "pattuglie mobili".
Erano in tutto dieci squadre ciascuna formata da una campagnola e da un autopompa. Erano automezzi strettamente collegati via radio con la centrale di via Genova, ed una di queste squadre venne collocata nei pressi del villaggio olimpico.
Il comandante, Giuseppe Oriani, illustrò alla stampa tale servizio, divenuto operativo dal 20 agosto per poi terminare il14 settembre.
Le pattuglie erano così composte: cinque dei sette vigili prendevano posto sull’autopompa mentre gli altri due sulla campagnola con a bordo attrezzatura varia, come autoprotettori, una motopompa, tubi, estintori ecc.
La loro dislocazione non superava il raggio di sette – otto chilometri dalla centrale, i percorsi erano prevalentemente verso il centro, in modo da raggiungere con la massima rapidità il luogo del sinistro.
Con la temporanea assegnazione del personale dalle varie sedi preesistenti, alle nuove pattuglie mobili, il comando dei vigili del fuoco di Roma richiamò in servizio centocinquanta volontari, ragazzi che avevano già effettuato il servizio militare nel Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco.

Pattuglia mobile in servio nei pressi dello stadio Olimpico

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Pietro Jonni 1848-1902

PIETRO JONNI

Il Capitano

Jonni 2bChiunque fosse passato per la caserma dei Vigili del Fuoco in via Genova, attraversando l’autorimessa e guardando il muro a mezza altezza dalla parte destra, avrà notato, incastonata, una targa in bronzo lunga circa un metro ed alta sessanta cm.. Si tratta di un bassorilievo che ricorda Pietro Jonni, sulla lastra bronzea appare la sua figura e la raffigurazione del principio d’incendio sviluppatosi nei magazzini dell’Unione Militare in via Cavour presso cui egli accorse poche ore prima della sua morte.
Nel centro della lapide in suo ricordo si legge – a Pietro Jonni Onore del Corpo dei Vigili 1848 – 1902, datata in piccolo 21 aprile 1904, riferimento al ricorrente Natale di Roma e della sua inaugurazione.
Chi di noi pompieri almeno una volta non è passato di lì? 
Sicuramente molti non ci avranno nemmeno fatto caso, oppure si saranno detti? chi era stò Pietro Jonni?
In questo articolo cercheremo di redarre una sua breve biografia. Una storia per noi importantissima poichè lo stendere delle pagine sull’onorato concittadino è un vero piacere ed altrettanto presentarlo a chi non lo conosce.
Egli nacque in piena estate, il 26 luglio 1831, da Raffaele e Rosa Ferrari, genitori modello che vivevano nell’onestà e nel rispetto di chiunque li conoscesse.
Pietro rimase orfano del padre all’età di 29 anni e si trovò nella difficile posizione di dover provvedere a se stesso ed alla famiglia. Durante l’età scolastica fece tesoro dello studio e di materie artistiche successivamente si applicò nell’arte muraria nell’intento di proseguire le orme del genitore defunto.
Il lavoro non gli mancava di certo ma la sua dedizione allo studio del disegno lo portava a frequentare le scuole serali con tanta passione che il prof. Stramazzi vantava molto di avere un giovane dalle più accese speranze.
Ben presto, visto i rapidissimi progressi, acquistò un’importante reputazione ed appoggiandosi al suo talento artistico indirizzò le sue attenzioni alla costruzione di fabbriche.
Nel 1847 venne ammesso al Corpo dei Vigili come soprannumero, con ripetuti solleciti passò in qualità di effettivo, nel 1866 gli venne concessa la promozione con il grado di caporale, accompagnata dal conferimento della medaglia al valor civile per l’opera di prontezza e sacrificio di se stesso nel luttuoso crollo di un appartamento di via del Babbuino.
Già dal 1847 venne seguito dall’oscuro occhio della polizia papalina per il suo ardente amor di patria e si distinse tra i più valorosi patrioti romani durante la difesa di Roma del 1849.
Le guardie non tardarono a trarlo in arresto, rimase in carcere per circa due mesi, quindi venne rilasciato per insufficienza di prove. Nonostante l’esito del processo che lo scagionava persecuzioni e molestie d’ogni genere proseguirono in modo costante, divenne addirittura uno stretto sorvegliato politico e questo lo costringeva a ritirarsi in casa prima del buio, la libertà con maggiori movimenti gli veniva data solo quando doveva prestar soccorso nei più gravi casi d’incendio. Per porre fine a tali ed assidui contrasti con lo stato Pontificio, nel 1868, lasciò con rammarico la beneamata città per esiliarsi a Firenze e qui continuò l’azione patriottica sjonni pietroenza tralasciare l’arte del suo mestiere che gli consentiva un buon sostentamento. Raggiunse un’eccellente reputazione ed il suo lavoro venne particolarmente apprezzato.
Intanto in Italia si verificarono grandi cambiamenti ed il 20 settembre 1870 si compiva il più glorioso degli avvenimenti che si sia registrato nei secoli.
Finalmente nella città eterna si respirava l’aria della libertà e Roma divenne Capitale d’Italia.
Il nostro valoroso pompiere con la gioia nell’anima e l’ansia nel cuore corse vero la sua amata Roma e fece immediato ritorno nella città eterna.
Raggiunto il quartiere dei Vigili venne promosso al grado di Sottotenente, riallacciò i rapporti di lavoro con i vecchi clienti, ed essendo sempre stato un cittadino amato, stimato e considerato un artista non gli mancò il lavoro con cui garantirsi una vita dignitosa.
Quale Ufficiale del Corpo dei vigili, in breve tempo si meritò un’altra promozione e nel 1871 fu nominato Tenente. Nel 1872 Luogotenente e nel 1873 ebbe la nomina a Capitano con mansioni di Comandante della seconda compagnia.
Diventò l’idolo del Corpo dei Vigili, aver condotto al salvataggio di una donna mentre stava per essere avvolta dalle fiamme di un violento incendio, fu uno splendido esempio delle sue elevate virtù. Tanto che nel febbraio 1876 la città di Roma gli decretò un’altra medaglia al valor civile.
Jonni operò con l’arte della decorazione e nei solenni funerali del Pantheon per il Re d’Italia Vittorio Emanuele II e gli venne meritatamente conferita la decorazione di Cavaliere della Corona d’Italia.
Sposato già dal 1858 con la gentildonna Adelaide Dominicis, di onorata famiglia romana, fu padre di tre figli Oreste, Giuseppina e Clotilde.
In mezzo secolo di carriera il Cav. Jonni si trovò più volte esposto a seri pericoli e non sempre gli riuscì di rimanere illeso. Una ferita alla testa, per la caduta di un trave, ed un’altra al piede destro, che ricordava con orgoglio, dimostravano che era sempre presente dove più urgeva il soccorso.
Ci piace ricordarlo come esempio per tutti i “Pompieri” e come cittadino dall’alta educazione, umile ma nello stesso tempo forte e sicuro, lo straordinario dono di genio e del portentoso ingegno fecero di lui una persona stimata e piena d’onore.
Ma quando corse a prestare la sua opera all’incendio dell’Unione Militare, mentre dava le prime disposizioni per la manovre, cadde a terra per non rialzarsi più.
Cadde sulla breccia, come cade un soldato nella battaglia, come cade un eroe.
I vigili di Roma ricorderanno uniti il nome del Capitano Pietro Jonni.

 

 di Enrico Branchesi
  Claudio Gioacchini – Bibl. Acc. Americana

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Fortunato Bonifazi – Civitavecchia

BRIGADIERE DEI VIGILI DEL FUOCO
FORTUNATO BONIFAZI

  

di Roberto Diottasi  

 

 

Nasce in Civitavecchia il 23 marzo 1880. Con gli anni diventa Vigile del Fuoco e da subito è apprezzato per le sue capacità operative. Durante il terribile terremoto di Avezzano e della Marsica del 13 gennaio 1915, è tra gli uomini che il comune di Civitavecchia invia per portare soccorso alla popolazione di Veroli (FR).
Muore a soli 38 anni il 3 giugno 1918 durante le operazioni di spegnimento di due motoscafi siluranti ormeggiati nella darsena del porto. Per meglio intervenire dovette esporre il suo corpo che venne colpito alla gola da una scheggia proiettata da una esplosione.
Per il suo esemplare comportamento fu insignito della medaglia d’oro valor civile concessa dalla Marina Militare. Di seguito, il rapporto d’intervento del Comandante Giorgio Mattei che descrive quei tragici momenti. (tratto dalle memorie del Comandante in Seconda Cav. Giulio Cesare Guglielmotti nel libro I primi cinquant’anni della Compagnia dei Vigili di Civitavecchia):
“Il 3 giugno 1918 appena iniziata la gloriosa difesa del Piave che doveva precedere la fine della guerra con la Vittoria, la Capitaneria del Porto avvertiva i Vigili di un incendio manifestatosi a bordo di due motoscafi ancorati nel bacino della Darsena. Accorsero immediatamente con pompe ed attrezzi, ed iniziarono la manovra di spegnimento e d’isolamento; meglio sarebbe stato prendere il provvedimento di far colare a picco le due piccole navi cariche di esplosivi ma si pensò di poterle salvare estinguendo l’incendio e di poter proteggere dalle fiamme i sacchi carichi di merci attraccati alla banchina, e i vigili iniziarono la loro opera; ma sventuratamente il fuoco si appiccò alla Santabarbara di uno dei due motoscafi si incendiarono le polveri e i proiettili e il povero Brigadiere Bonifazi Fortunato, che valorosamente impavido e fermo restava al suo posto, fu colpito alla gola da una scheggia di granata e cadde fulminato al suolo, vittima del proprio dovere, esempio di sacrificio e di abnegazione.
I motoscafi saltarono e poi si inabissarono nel mare. Il Comandante Mattei inviava al Municipio il seguente rapporto che è la più bella pagina della storia dei nostri vigili e che formerà per sempre l’orgoglio della nostra Città.
“L’anno millenovecentodiciotto il giorno quattro del mese di giugno alle ore 15 presso la Sede del Comando suddetto.
Premesso che la sera del 3 corrente alle ore 20 chiamati telefonicamente i vigili del fuoco, in seguito ad incendio sviluppatosi su due motoscafi antisommergibili (M.A.S.) ancorati nella vecchia darsena del Porto, accorsero muniti di pompe e attrezzi per prestare la loro opera.
Poiché la darsena era tenuta completamente sgombra per il pericolo di esplosione delle munizioni contenute a bordo delle due navi incendiate, i Vigili percorrendo la via soprastante la darsena che conduce al Lazzaretto giungevano in un punto, riparato da alto parapetto, proprio al di sopra, all’altezza di circa 20 metri, dei due motoscafi e di numerosi galleggianti in gran parte carichi di derrate alimentari e di combustibili.
Il Comando diede le opportune disposizioni per tentare di circoscrivere il fuoco e salvaguardare i galleggianti (chiatte) ancorate proprio a fianco dei motoscafi.
All’uopo furono armate le pompe e gli altri mezzi a disposizione del Corpo.
Il Brigadiere Bonifazi Fortunato era salito sul parapetto del muro prospicente la darsena, e tenendosi carponi attendeva a gettare acqua sui galleggianti, che per effetto del continuo lancio di materie infiammate minacciavano di incendiarsi.
Trascorso breve tempo, dai due motoscafi incominciavano ad udirsi detonazioni, dapprima lievi e poi man mano più forti, il che dimostra l’accensione delle munizioni in essi contenute. Il Comando, allo scopo di evitare sinistri e prevedendo che le esplosioni avrebbero aumentato di intensità, invitò più volte il Brigadiere Bonifazi a togliersi dalla posizione in cui trovavasi, che per quanto sufficientemente sicura, presentava qualche probabilità di pericolo, ed a ricoverarsi in luogo più riparato, sospendendo l’opera d’isolamento alla quale si era accinto salvo riprenderla appena possibile.Il Bonifazi spinto dal sentimento altissimo del suo dovere e dall’impulso dimostrato in tante altre circostanze in cui diede non dubbie prove di sprezzo del pericolo, volle rimanere fermo a quel posto, rispondendo continuamente con le testuali parole: “Permetta Comandante che compia intero il mio dovere”.
Poco dopo una scheggia di proiettile colpiva alla gola l’eroico Brigadiere togliendogli miseramente la vita, appena giunto nel Civico Ospedale.
Si fa risultare quanto sopra a perenne ricordo del Brigadiere BONIFAZI FORTUNATO, che nell’adempimento del suo dovere, spinto fino al sacrificio, lasciava la vita dando nobile esempio di se stesso. Ogni parola che si aggiungesse, diminuirebbe l’alta portata di questo supremo sacrificio, di tanta abnegazione, di così elevato sentimento del dovere.
Una parte della Caserma fu ridotta a camera ardente e la popolazione commossa ed ammirata, per due giorni continui si recò a deporre fiori sulla salma compianta. Il R.° Commissario invitò con apposito manifesto, la popolazione tutta a rendere l’estremo omaggio all’eroico Pompiere. Mai trasporto funebre fu più solenne e più commovente. Autorità, rappresentanze di Corpi Armati e l’intera popolazione seguirono mestamente il feretro. Parlò il R.° Commissario sulla vita privata esemplare e sullo stato di servizio del prode Bonifazi concludendo:
“Esempio incomparabile di coraggio e di abnegazione, il suo nome rimarrà scolpito nel cuore dei cittadini tutti e dei commilitoni che in lui apprezzarono le doti e le virtù di cittadino e di milite di questo benemerito Corpo di Vigili. Valga questa manifestazione di numeroso popolo a lenire l’immenso dolore, che il sacrificio di questa giovane vita ha procurato alla desolata famiglia.
Parlò anche l’Ufficiale Onorario Guglielmotti per porgere a nome dei superiori e dei compagni l’estremo saluto al primo martire del dovere di questa nostra Istituzione.
La salma fu sepolta nel colombaio dei vigili.
Con decreto Luogotenenziale 17 novembre 1918, fu conferita alla sua memoria la Medaglia d’Oro al valor civile e fu inviata al Comune l’insegna, assieme al brevetto dell’altissima sovrana concessione.
Per circostanze diverse, non prima di oggi, in cui si festeggia il cinquantenario dei vigili di Civitavecchia, si potè consegnare alla famiglia Bonifazi la medaglia d’oro ma oggi il Corpo adempie, al suo dovere eseguendo l’incarico colla maggiore solennità e oggi stesso viene scoperta una lapide scolpita nel marmo affissa nelle mura della caserma, colla seguente epigrafe:

IN MEMORIA DI FORTUNATO BONIFAZI
BRIGADIERE DEI VIGILI DECORATO DI MEDAGLIA D’ORO, AL VALORE CIVILE
PER CARITÀ DEL NATIO LOCO SE STESSO SU GLI SPALTI DEL LAZZARETTO OFFRI’ IN OLOCAUSTO
III GIUGNO MCMXVIII
ESEMPIO E MONITO CHE LA VITA NON A NOI MA A GLI ALTRI E’ DOVUTA,
PER IL BENE DI TUTTI.

 

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Soccorso Estremo – 1959

SOCCORSO ESTREMO

 

 

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Roma 23 aprile 1959, piazzale degli Eroi.

In un grande caseggiato al 4° piano, viveva la protagonista del fatto che per discrezione nomineremo con le sole le sue iniziali, G.P., allora trentatreenne e residente in quell’appartamento con il padre.

G.P. già da tempo soffriva di esaurimento nervoso tanto da dover essere curata in una clinica, al suo ritorno era apparentemente guarita, tuttavia bastò un sol litigio con il padre a far tornare quei malori avuti prima del ricovero in ospedale.

Il portiere del palazzo avvisato da inquilini sorprese la giovane donna sul terrazzo, tra l’altro pericolante, e dovette sudar sette camice per avvicinarla e riportarla giù, giunta sulla porta di casa si chiuse dentro e barricò la porta. Subito dopo si cominciarono a sentire dei forti rumori, vetri che si infrangevano, mobili che cadevano, tutto che si rompeva, la donna era in grave pericolo e minacciava il peggio. Nel frattempo i Vigili del Fuoco arrivarono prontamente sul posto celermente avvisati, alcuni si recarono subito sul pianerottolo delle scale nell’intento di sfondare la porta, un altro coraggioso vigile si calava esternamente dal piano superiore, pian piano per sorprendere la giovane ed immobilizzarla.

G.P. si accorse che la stavano chiudendo, senza pensarci troppo spalancò una finestra e si gettò a capofitto nel vuoto, altri vigili rimasti in strada sotto le finestre erano pronti con il telo rotondo ed un altro indirizzava un idrante sulle finestre come per tenerle chiuse dal muro d’acqua.

Fu una sorpresa per tutti, vedere la giovane spuntare all’improvviso, ma con riflessi sempre pronti il vigile con l’idrante indirizzò il getto d’acqua sotto di lei cercando di ammortizzarne la caduta e la prontezza dei ragazzi con il telo riuscì a scongiurare una tragedia quasi certa. Un impresa non facile, calcolando anche i mezzi e le attrezzature che si avevano a disposizione allora (rispetto a quelle di oggi!) ma come sempre l’estro del “Pompiere” venne premiato ed anche quella volta il premio fu quello di aver salvato una vita con un getto d’acqua. 

(tratto da un quotidiano del periodo)

 

La squadra che effettuò l’intervento

 

 

 

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San Lorenzo – il bombardamento del 19 luglio 1943

ROMA, 19 LUGLIO 1943: LA MORTE SCENDE DAL CIELO

 

di Alessandro Fiorillo

Sei giorni prima della caduta del fascismo, alle ore 11.08, dal cielo di Roma inizia a cadere l’inferno. I quartieri più colpiti saranno quelli di San Lorenzo e del Prenestino Labicano, oltre alla città universitaria, la stazione Termini, l’aeroporto Littorio e altre zone di Roma. Ai cosiddetti obiettivi sensibili si aggiunsero le case, i palazzi, le scuole, le chiese. Un giorno terrificante, caratterizzato da diverse incursioni, che si ripeterono nei giorni e nei mesi successivi.

I NUMERI DELL’INCURSIONE:

Dalle basi dell’Africa settentrionale, la mattina del 19 luglio 1943 si levarono in volo ben 662 bombardieri statunitensi, scortati da 268 caccia. Gli aerei volavano a ventimila piedi di quota, per evitare il fuoco nemico della contraerea italiana. Nel corso del bombardamento persero un solo velivolo, abbattuto nei pressi di Pratica di Mare. Un tentativo di contrasto dell’azione aerea alleata fu tentato da 38 caccia italiani, 3 dei quali furono abbattuti. In poco più di due ore d’incursione vennero sganciate circa 4000 bombe, per un totale di 1060 tonnellate di esplosivo.

LA CRONACA DELLA GIORNATA:

L’attacco aereo si sviluppò in sei ondate successive e colpì soprattutto gli scali ferroviari Littorio e San Lorenzo, e gli aeroporti Littorio e Ciampino. Gli obiettivi principali erano quelli che oggi diremmo “sensibili”, quali appunto le strutture ferroviarie ed aeroportuali necessarie per lo spostamento di truppe, merci e rifornimenti. Chiaramente si puntava a mettere in ginocchio le già provate strutture produttive e le reti di comunicazione del paese. Ma come ben sappiamo a fare le spese più tragiche dell’incursione aerea alleata saranno soprattutto gli abitanti del popolare quartiere di San Lorenzo, e quelli del quartiere Prenestino. Gli ordigni caddero su via dei Volsci, via dei Sabelli, via dei Sardi, via dei Marrucini, via dei Vestini, via degli Enotri, via degli Equi, piazzale Prenestino, via di Villa Serventi, via Casilina, e la lista è ancora molto lunga. I cortili, le loggette, i ballatoi e i luoghi di svago e socializzazione vengono sventrati dal fuoco distruttore delle bombe. In via dei Marsi venne colpita la “Casa dell’infanzia” di Maria Montessori. A via dei Latini due palazzi vennero completamente distrutti. In via dei Marrucini una bomba penetrò sino alla cantina dove si erano rifugiate diverse persone, in maggioranza donne e bambini. Ne morirono 97. I vigili del fuoco impiegarono sei giorni per tirare fuori i cadaveri. Anche l’orfanotrofio di via dei Sabelli venne colpito, e dopo trentasei ore di duro lavoro i vigili del fuoco estrarranno i cadaveri di 78 bambini e 6 suore. Il pastificio Pantanella, vicino a Porta Maggiore, bruciò per tre giorni prima che i vigili riuscirono a domarne completamente le fiamme. Lo stesso cimitero del Verano subì grandi devastazioni, con le tombe divelte e le salme dei defunti che si mescolarono ai cadaveri della gente, sorpresa dai bombardamenti, mentre si trovava al cimitero per pregare sui sepolcri dei loro cari. La Basilica patriarcale di San Lorenzo, una delle sette basiliche della tradizione giubilare, subì gravissimi danni. La lista dei danni è ancora lunghissima, come quella delle vittime, stimate in almeno 3000 persone che persero la vita in quel tragico giorno. Ma non si è mai riusciti a stimare con precisione il numero complessivo delle vittime, i resti di alcune delle quali non sono mai stati ritrovati. Nell’ambito dei tragici avvenimenti di quel giorno riporto queste brevi riflessioni del figlio di un sopravvissuto al bombardamento, il sig. Maurizio Fedele, residente al quartiere Prenestino-Labicano:

"Mio padre – che è un genitore modello e (ci tengo a dire) ha voluto per me un’educazione cristiana (…) ha perso la fede in Dio per una tragedia di guerra: il bombardamento della Chiesa di S. Elena a Ponte Casilino, dove nel ’43 morirono centinaia di fedeli lì riuniti in preghiera."

Un ulteriore carico di orrore emerge dalle parole del sig. Franco Ergasti, altro sopravvissuto dei bombardamenti, sepolto dalle macerie e salvato da un soccorritore:

Non lo hanno mai voluto raccontare, ma quei piloti si divertivano a sparare sui bambini e sui civili che scappavano. Sulla linea dritta della Tiburtina si abbassavano e sparavano. Andate a vedere sugli alberi di piazzale del Verano, quelli più vecchi. Ci sono ancora i fori dei proiettili”.

Non serve aggiungere altro, bastano queste testimonianze per ricordarci ancora che le guerre riescono a tirar fuori soltanto il peggio dall’animo umano, in evidente contrasto con quelle istanze di solidarietà e altruismo che quel giorno videro protagonisti, ancora una volta, i vigili del fuoco.

Nel corso dei lavori e della sistemazione dei locali che oggi ospitano il Museo storico dei vigili del fuoco di Roma, è stata ritrovata, abbandonata e dimenticata (1), una lista originale scritta con calligrafia chiara e precisa da un vigile del fuoco di quegli anni, probabilmente nell’atto di riordinare le sequenze relative al numero e ai dati degli interventi effettuati in quel giorno. Una lista molto lunga, a testimonianza della tragicità degli eventi e all’eccezionale quantità di lavoro che dovettero affrontare e fronteggiare i vigili del fuoco.

Nella lista vengono citati gli indirizzi nei quali si è intervenuti, con le rispettive autovetture e squadre giunte sul posto. Vediamo ad esempio che il Carro crollo della Centrale venne inviato in un non meglio precisato Stabilimento ausiliario di via Principe Amedeo. Alla stazione Portonaccio giunse la terza partenza Centrale, la terza partenza Salaria e un l’autobotte tuscolana (probabilmente erano attivi dei presidi mobili sparsi per la città, in considerazione del periodo particolarmente critico a causa dell’evento bellico in corso). Alla città universitaria venne inviata la prima partenza Trionfale e all’Aereoporto Littorio una non meglio specificata seconda partenza, un autobotte Salaria e 2 autobotti Governatorato. Un Isotta Fraschini venne inviata in via di Tor Pignattara, e in via Prenestina giunse un “1100 trasporto acqua potabile”. La lista continua, molto lunga e molto interessante. Le squadre dei castelli fronteggiarono la situazione all’aeroporto di Ciampino, dove giunsero la prima partenza Marino e la prima partenza Albano. Alla Scuola Cavalleria di Tor di Quinto giunse l’ “Autopompa 626 Trionfale”. Venne colpito anche il “Centro Chimico Militare”, probabilmente all’interno della città universitaria, dove fu inviata la seconda celere Centrale. A Largo dei Volsci giunse anche un “Unità Rieti” più altri “uomini” delle unità di Frosinone e Viterbo. Il “Carro crollo” con 50 uomini della “Caserma Collazia” fu impegnato nel quadrilatero compreso tra Via dei Marrucini, via degli Equi, via dei Latini e Piazzale Prenestino.

La lista continua ancora, e sicuramente ci sono altri spunti interessanti da approfondire. Questo vero e proprio documento inedito è tornato alla luce negli ex sotterranei del distaccamento di Ostiense, oggi sede del Museo storico, a ricordarci l’orrore di una delle più funeste giornate della storia di Roma, in uno dei più difficili momenti dove i vigili del fuoco della città sono stati mobilitati al completo, per fronteggiare, come era già accaduto ai colleghi di Milano, Torino e diverse altre città d’Italia, le terribili conseguenze di un violento e distruttivo bombardamento. Un ultimo dato interessante che emerge dalla lista, è l’informazione riportata sulla stessa secondo la quale alle 23.34 vi fu un altro allarme e nuovi bombardamenti che causarono altri crolli, incendi e l’invio delle squadre dei pompieri.

NOTE:

(1) Il recupero di questa lista originale degli interventi effettuati il 19 luglio 1943, lo dobbiamo alla sensibilità di Claudio Gioacchini, che anni fa la ritrovò, la salvò dall’oblio, e la donò al Museo Storico dove oggi è conservata.

INTERVENTI DI SOCCORSO PER L’INCURSIONE DEL 19 LUGLIO 1943

1

STABILIMENTO AUSILIARIO VIA PRINCIPE AMEDEO

CARRO CROLLI-CENTRALE

2

VILLA SERVENTI

1° ORDINARIA –TUSCOLANA

3

VIA MONTEBELLO

1° CELERE –CENTRALE

4

PIAZZA SANTA CROCE

1° PARTENZA –LATINA

1° CELERE – LATINA

5

CORSO VITTORIO   PALAZZO BRASCHI

2° CELERE –TESTACCIO

6

STAZIONE TERMINI

2° ORDINARIA –CENTRALE

7

VIA ETTORE GIOVENALE

2° PARTENZA –TUSCOLANA

1 AUTOBOT. GOVERNATORATO

8

CITTA’ UNIVERSITARIA (ISTITUTO CHIMICA)

1° PARTENZA –NOMENTANA

9

STAZIONE  PORTONACCIO

3° PARTENZA –SALARIA

3° PARTENZA –CENTRALE

AUTOBOTTE –TUSCOLANA

10

STAZIONE  TERMINI

UOMINI 2° PARTENZA ORDINARIA –CENTRALE

11

VIA  DEI MARRUCINI

VIA DEGLI EQUI

VIA DEI LATINI

PIAZZALE PRENESTINO

N° 2 ALFA 500 –COLLAZIA

CARRO CROLLI 50 UOMINI

CASERMA COLLAZIA

15

STAZIONE PORTONACCIO  (deposito locomotive)

2° ORDINARIA –LATINA

16

STAZIONE  TERMINI

1° CELERE –CENTRALE

AUTOBOTTE –CENTRALE

17

CITTA’ UNIVERSITARIA  (SCALO S. LORENZO)

1° PARTENZA  -TRIONFALE

18

VIA A.  GRANDI

CARRO CROLLI-SALARIO

19

ARCO DI SANTA BIBIANA

MACCHINA 666 –CENTRALE

AUTOBOTTE –CENTRALE

20

AEROPORTO  LITTORIO

2° PARTENZA –SALARIA

AUTOBOTTE  -SALARIA

2 AUTOB. GOVERNATORATO

21

VIALE MANZONI      FIAT

1° CELERE –CENTRALE

2° CELERE –CENTRALE

22

VIA  ROMANELLO DA FORLI’

MEDIOLANUM

2 AUTOB. GOVERNATORATO

23

MOLINO  PANTANELLA

635 –CENTRALE

3° PARTENZA –CENTRALE

6 AUTOB. GOVERNATORATO

24

VIALE  PRINCIPE  PIEMONTE

ALFA 1201 –CENTRALE

50 UOMINI DEL GENOVA CAVALLERIA

25

TOR  PIGNATTARA

ISOTTA FRASCHINI –A. DORIA

26

MOLINO  PANTANELLA

AUTOSCALA-CENTRALE

AUTOBOTTE-CENTRALE

2° CELERE –CENTRALE

27

OSPEDALE  N° 9  VIA VISCOSA

5° CELERE –CENTRALE

28

VIA  DEI SARDI  (deposito  birra)

1° PARTENZA –PRATI

29

SAN   LORENZO

38 R. SPA  -OSTIENSE

30

VIA  VAL MELAINA

2459  -NOMENTANA

31

CITTA’  UNIVERSITARIA

30.000 SPA –SALARIA

2 AUTOB. GOVERNATORATO

32

VIA  MONTECUCCOLI

621    -LATINA

33

STAZIONE   LITTORIO

ISOTTA FRASCHINI –A. DORIA

34

VIA DEI CAMPANI

AUTOAMBULANZA- CENTRALE

35

IDROSCALO  OSTIA

1° PARTENZA  -OSTIA

36

VIA  AUSONIA  (cinema   Palazzo)

1° CELERE  -SALARIA

1° PARTENZA –CENTRALE

37

VIA  FANFULLA DA LODI

1° PARTENZA –TUSCOLANA

38

VIA  ANTONIO  SCARPA

1° CELERE –OSTIENSE

2° CELERE –OSTIENSE

39

VIA  TIBURTINA

38  SPA  – TUSCOLANA

40

VIA  DEI  LATINI

AUTOSCALA –CENTRALE

41

VIA S. MARIA  MAGGIORE

1° CELERE –CENTRALE

42

VIA  CASILINA  ( VIA COSMO EGIZIANO )

ANSALDO  -COLLAZIA

43

VIA  SANTA  CROCE  (segheria)

CEIRANO  -LATINA

44

VIA  PRENESTINA

2° CELERE  -SALARIO

45

PIAZZA  SANTA  CROCE

AUTOCARRO

AUTOPOMPA

8° GENIO

46

PARCO  PRENESTINO

606 –LATINA

AUTOBOTTE  -CENTRALE

47

VIA  ROMANELLO DA  FORLI’

1° CELERE –CENTRALE

2° CELERE –CENTRALE

48

VIA FANFULLA DA LODI

VIA  PRENESTINA

N° 10 UOMINI CON N° 2

  30000 SPA-OSTIENSE

50

VIA PRENESTINA     VIA  FORTEBRACCIO

ANSALDO 2906-TRIONFALE

51

LARGO DEI VOLSCI

10 VIGILI DI RIETI CON 510 e 520

6 VIGILI DI FROSINONE

6 VIGILI DI VITERBO

52

PIAZZA  SANTA  CROCE

AUTOSCALA 30mt-CENTRALE

53

VIA  PRENESTINA

1100 trasporto acqua potabile

54

VIA  ETTORE  FIERAMOSCA

1° PARTENZA  -OSTIENSE

55

STAZIONE  CIAMPINO

1° PARTENZA  -MARINO

1° PARTENZA -ALBANO

56

VIA ACQUA  BULLICANTE

1° PARTENZA .-TRIONFALE

57

AEROPORTO  LITTORIO

38 R. S.P.A.

1 AUTOBOTTE

8° GENIO

58

VIA ASCOLI  PICENO

BIANCHI 2964  e

15 VIGILI  -CENTRALE

59

SCALO  SAN  LORENZO

ISOTTA FRASCHINI CON

12 VIGILI

60

AEROPORTO   LITTORIO

AUTOB. 30000 S.P.A. –OSTIENSE

38 R. S.P.A. DI AQUILA CON

7 VIGILI

62

VIA  CASILINA

ISOTTA FRASCHINI CON 15 VIGILI

63

VIA PRENESTINA

ISOTTA FRASCHIN CON 15 VIGILI

64

TOR  DI QUINTO  (Scuola  cavalleria)

AUTOPOMPA 626-TRIONFALE

65

CENTRO  CHIMICO  MILITARE

2° CELERE

66

STAZIONE  LITTORIO

1° PARTENZA- CENTRALE

8° PARTENZA – CENTRALE

68

VIA PONTELLI

IV° CELERE – CENTRALE

69

VIA  DEI  SABELLI

1° PARTENZA –CENTRALE

2° PARTENZA -CENTRALE

70

MOLINO  PANTANELLA  (vicinanze)

6 VIGILI CON 405  -CENTRALE

71

VIA CASILINA

POLISOCCORSO-CENTRALE

72

VIA  PRENESTINA (deposito ATAC)

30000S.P.A. –TRIONFALE

73

SCALO  SAN  LORENZO

30000 S.P.A. – TRIONFALE

74

VIA  DEI SABELLI

ATOPOMPA 635- OSTIENSE

75

VIA  DEI MARSI

MOTOPOMPA CON CAMIONCINO

CENTRALE

76

MOLINO  PANTANELLA

AUTOGRU’ PICCOLA

77

VIA  AQUILA

VIA  GRANDI

6 VIGILI D.G.S.A.

79

PORTA  MAGGIORE

6 VIGILI

80

VIA  DEI SABELLI

AUTOB. GOVERNATORATO

81

VIA CALTANISETTA

AUTOAMBULANZA -CENTRALE

82

VIA  PRENESTINA   (SNIA VISCOSA)

T  453  -TUSCOLANA

83

VIA DEI  SABELLI  ( fabbrica  birra)

T 2052. 300SPA –TRIONFALE

CARRO CROLLI2906-TRIONFALE

84

VIA  TIBURTINA

CARRO CROLLI-TRIONFALE

85

VIA  ROMANELLO DA FORLI’

T.453  -TUSCOLANA

86

VIA  DEI  RETI

ALFA 500  -OSTIENSE

87

STAZIONE  LITTORIO

T. 494   -SALARIO

CROLLI CON VITTIME:

Villa Serventi – Via Montebello – Città Universitaria – Via degli Equi – Via dei Latini – Via dei Sardi – Via dei Marzi – Via dei Volsci – Via dei Sabelli (Centro di Rieducazione Minorenni) – Via Aquila – Via Brancaleone – Via Pesaro – Via degli Aurunci – Via Macerata – Via Fortebraccio – Piazza F. Baldini – Via Perugia – Via Acqua Bullicante.

INCENDI:

Corso Vittorio Palazzo Braschi – Viale Manzoni (Soc. FIAT BIANCHI) – Ospedale n. 9 a Via Viscosa – Via Ausonia Cinema Palazzo – Via Antonio Scarpa – Tor di Quinto Scuola Cavalleria – Via Prenestina Deposito A.T.A.G. – Via dei Campani – Centro Chimico Militare.

I Vigili del Fuoco il 19 luglio 1943 hanno messo in salvo 477 feriti e recuperato 415 salme. 8 Vigili del Fuoco sono rimasti gravemente feriti durante le operazioni di soccorso. Uno di loro, Madocci Cairoli è deceduto il 7 agosto 1943 nell’ospedale del Littorio.

Cesare De Simone nel suo libro Venti angeli sopra Roma parla di 24 Vigili del Fuoco deceduti il 19 luglio 1943.

Testualmente: "Ne morirono 24 dei vigili del fuoco che operavano nelle zone  colpite dalla grande incursione del 19 luglio 1943, 12 rimasero schiacciati da crolli improvvisi di muri pericolanti, 4 non riemersero più dalle fessure create dalle bombe, 3 morirono asfissiati dalle fiamme dell’incendio del molino Pantanella, 4 furono uccisi da bombe a effetto ritardato, 1 cadde da un muro per salvare una donna bloccata."

Al momento non abbiamo trovato riscontri a queste informazioni riportate da Cesare De Simone, dalle nostre ricerche risulta un solo Vigile del Fuoco caduto (il già citato Cairoli Madocci, deceduto il 7 agosto del 1943 per le gravi ferite riportate il 19 luglio).

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Ettore De Magistris

ETTORE DE MAGISTRIS, UFFICIALE DEI VIGILI DI ROMA

di Alessandro Fiorillo

           V. Comandante De Magistris Ettore rid.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   L’Ingegner Ettore De Magistris era uno stimato e valoroso Ufficiale del Corpo Comunale dei Vigili di Roma, era anche assistente di Geometria analitica e proiettiva dell’Università romana, e Professore nel Regio Istituto Tecnico di Roma.

Alcune sue pubblicazioni tecniche, a contenuto pompieristico, ebbero una certa diffusione ai suoi tempi, è il caso di un trattato sulla Scala Romana che scrisse nel 1895 su specifica richiesta espressa da vari Corpi di Pompieri d’Italia, curiosi di approfondire le conoscenze relative a questo strumento di grande utilità usato soprattutto dai vigili romani. Il testo, oltre che introdurre con alcune note storiche lo strumento oggetto dello studio, era corredato da numerosi e precisi calcoli sulla stabilità della scala (con o senza rompitratta), tecniche di montaggio, ecc.

Un paragrafo era dedicato alle operazioni di salvataggio con la scala, ne riporto un breve passaggio: “Il salvataggio su scala romana è sommariamente utile e facile, oltre che richiede, ciò che essenziale, brevissimo tempo. Due uomini, per mezzo di essa scala si recano al piano dove trovansi le persone da salvare; un terzo si ferma sulla scala all’altezza della finestra tenendosi nella posizione indicata per discendere ossia col busto in fuori e con le mani ai cosciali; i primi gli adagiano sulle braccia una di quelle, la quale si assicurerà con le braccia al collo di chi deve trasportarla. Se invece colui che debbesi salvare non è in grado, o per paura si rifiuta di prendere tale posizione, lo si legherà e, legato, si assicurerà con una corda al corpo del trasportatore.”

Ettore De Magistris elaborò anche un prezioso manuale intitolato Corso di istruzione sulla scala romana, corredato da un ricco apparato fotografico. Una copia di questo testo è conservata presso l’Archivio Capitolino. Il nostro Ufficiale però, oltre a dedicarsi agli studi e alle pubblicazioni di carattere tecnico, era anche un appassionato di ricerca storica, difatti fu sua una delle prime pubblicazioni sulla Militia Vigilum della Roma imperiale. Questa sua pubblicazione fu molto apprezzata all’epoca, sia negli ambienti pompieristici che in quelli puramente intellettuali, tanto che questo suo libro venne anche tradotto in varie lingue.

Ettore De Magistris, colpito improvvisamente da quello che fu probabilmente un forte stato depressivo, dopo due anni di sofferenze psicologiche morì purtroppo suicida, a soli 45 anni, nel febbraio del 1912. Descritto dalle persone e dai colleghi che lo conobbero come persona “di carattere giocondo e sereno, affabilissimo nel tratto“, divenne taciturno e cupo nei due anni che precedettero la sua tragica fine.

Per il Corpo dei Pompieri di Roma si trattò di una grave perdita, sia sotto il profilo operativo che intellettuale.

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Il disastro della Minerva film

 

IL DISASTRO DELLA MINERVA FILM

Da il Messaggero del 16 maggio 1947

Le vittime finora accertate ammontano a 25

Durante la giornata di ieri piccoli focolai di incendio si sono ancora manifestati nel tragico baratro in cui è sprofondata la “ Minerva film” dopo le esplosioni di mercoledì. Il più recente di questi focolai è divampato alle ore 1.30 di questa notte ma è stato subito domato. Alle 4 di ieri mattina i vigili del fuoco hanno estratto dalle macerie un cadavere irriconoscibile. I morti salivano così da 23 a 24. Alle ore 1.15 di questa notte sono stati rinvenuti altri resti umani completamente carbonizzati che non si è potuto stabilire se appartengono o meno a cadaveri già estratti. Si crede però possa trattarsi di una venticinquesima vittima. Vicino alle misere spoglie è stato rinvenuto il lembo di un abito da donna di tela blu. Di questi 25 cadaveri, 20 sono stati identificati. Dei 5 di cui ancora non si conosce l’identità, 2 sono certamente donne. Un cadavere potrà essere riconosciuto poiché presenta delle capsule d’oro sulla dentatura .L’altro, di più difficile riconoscimento, null’altro lascia all’attenzione di coloro che provano ad identificarlo che una cerniera di metallo, che potrebbe essere appartenuta a giarrettiere femminili come a un paio di bretelle maschili. Degli altri 3 cadaveri rimane così poco, che l’identificazione appare impossibile. Da questo momento, se altri cadaveri verranno trovati fra le macerie di essi non si recupereranno che le nude ossa. La polizia ha esaurito il suo difficile compito nella nottata e nella mattinata di ieri. Dopo 20 ore di ininterrotti confronti presieduti dal Dott. Macrì e dal commissario Cavallaro del commissariato Viminale, si è giunti alfine a ricostruire il disastro nelle sue cause. La polizia era rimasta impressionata dalla strana constatazione che nella sciagura gli unici a salvarsi, senza eccezioni, erano stati gli addetti al magazzino della “ Minerva film”. E’ noto che nella notte erano già stati fermati il dott. Castelli della società e alcuni dipendenti. Il direttore generale e consocio del proprietario della “ Minerva film” Mosco, signor Poitios era stato a sua volta invitato dalla polizia e dopo un primo interrogatorio avvenuto alle 3 di ieri notte, tanto il Mosco che il Poitios erano stati rilasciati. Sennonché, volendo ieri il Procuratore della Repubblica, ascoltare le loro dichiarazioni, ne ordinava la loro comparazione, ma né dell’uno né dell’altro si avevano più notizie.

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La Causa dell’incendio

Frattanto il dott. Macrì e il dott. Cavallaro con l’aiuto dei carabinieri avevano fermato 14 persone delle quali 10 rimanevano in stato di fermo.
Costoro appartenevano in gran parte al magazzino, altri erano addetti agli altri servizi .I fermati confessavano che quel pomeriggio si stavano trattenendo nel magazzino per fare una merenda verso le ore 18. Ad un tratto il Sallustio, dovendo portare delle pellicole a un’altra casa cinematografica pensava di unire ai rotoli anche un sacco di segatura. Nel prendere un sacco per immettervi la segatura ne sceglieva uno nel quale erano depositati dei residui di pellicola. L’operazione avveniva mentre il Sallustio stava fumando. Nell’alzare il sacco, la sigaretta cadde dalla bocca dell’operaio andando a finire fra le pellicole. Il Sallustio si chinava a raccogliere il mozzicone e lo ritrovava spento. Ma nell’istante stesso una vampata investiva il Sallustio. In preda al panico, costui si dava alla fuga, mentre un altro dei presenti il Cuccari afferrato un estintore tentava di dominare le fiamme. Ma gli altri in preda al terrore urlavano “Non c’è più niente da fare fuggiamo”. Fuggirono, infatti per la scaletta e uno di essi, il Puggini, avvertì del pericolo l’ufficio di distribuzione sito al primo piano. Coloro che erano nell’ufficio hanno pensato di dare l’allarme o hanno pensato solo a salvarsi? Questo è il punto sul quale si sta ancora indagando.

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Comunque il responsabile materiale del disastro, il vice magazziniere Vittorio Sallustio ha confessato la propria colpa. Ma già esistevano dei gravi precedenti, di cui bisogna dare sommaria notizia. Nello scorso dicembre il figlio di un dipendente della “ Minerva film” inviava una denunzia al Comando dei Vigili per rendere noto che nell’ufficio di via Palestro esisteva grande quantità di materiale infiammabile, che metteva a repentaglio la vita dei dipendenti. Fatta un’inchiesta si accertava la verità della denuncia, cosicché la polizia diffidava i dirigenti della società a tenere ancora nei locali il materiale stesso. Ma nulla veniva fatto anzi. È stato accertato che nel locale dove l’incendio si è manifestato ed anche in altri uffici esistevano latte di benzina a contatto con le pellicole. In una stanza parzialmente crollata fra le macerie, è stato rinvenuto un paio di mani, in un altro punto un piede dentro una scarpa, i resti pietosamente avvolti in lenzuola sono stati inviati all’obitorio.
Oltre a quello dei morti è aumentato anche il numero dei feriti, la sig.a OMISSIS insieme alla propria figlioletta che abitando in via Palestro 49 veniva travolta e calpestata dalla folla terrorizzata mentre si susseguivano le esplosioni. L’impiegata della “Minerva” sig. OMISSIS si feriva gettandosi dalla finestra del primo piano. Enrico Posentini nel coadiuvare i vigili del fuoco nell’opera di soccorso veniva travolto da due persone gettatasi dal secondo piano.

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I Pompieri di Roma al Concorso Internazionale di Torino del 1928

I POMPIERI DI ROMA AL CONCORSO INTERNAZIONALE DI TORINO DEL 1928

di Alessandro Fiorillo

Uno degli aspetti più interessanti della tradizione pompieristica del periodo comunale era rappresentato dai concorsi nazionali e internazionali, fondamentali per la diffusione delle nuove tecniche d’intervento e la condivisione delle ultime scoperte nel campo della tecnologia antincendio. Era un momento di confronto e di crescita per molti corpi di pompieri, durante il quale si stringevano contatti e rapporti di collaborazione utili, oltre che per l’aspetto formativo, anche per una progressiva standardizzazione del servizio sul territorio nazionale.

Famoso fu il Concorso Internazionale che si tenne a Torino, nei primi quattro giorni del settembre del 1928, per celebrare le feste centenarie di Emanuele Filiberto di Savoia e il decennale della vittoria nella Prima Guerra Mondiale. L’organizzazione fu curata dal Comandante dei Pompieri di Torino Ing. Viterbi, e il concorso rappresentò un evento di prim’ordine per la famiglia pompieristica italiana di quegli anni, sia perché fu occasione d’incontro per le rappresentanze di moltissimi Corpi di Pompieri d’Italia (compresi i Corpi di Palermo, Catania e Messina, ma anche molti Corpi di piccole città), sia per la presenza di Corpi esteri con i quali si poterono confrontare e conoscere nuove tecniche, attrezzature, tecnologie, ecc.

Alla manifestazione parteciparono circa 2000 pompieri, organizzati in non meno di 150 squadre e con la presenza di circa 300 autocarri. Per l’occasione venne costruito un vero e proprio villaggio in legno che servì per le manovre e le gare di spegnimento d’incendio, che resero l’evento particolarmente emozionante e formativo per le difficoltà reali e le simulazioni di salvataggio che dovettero affrontare i pompieri impegnati.

Ovviamente anche il Corpo dei Vigili di Roma partecipò al concorso, e una squadra di pompieri capitolini si recò a Torino portando con se un autopompa De Manresa da 1500 litri, un autocarro con due alzate di Scala Romana ed una FIAT 503 per i servizi del Comando. I pompieri romani affrontarono le prove del concorso il primo giorno della manifestazione, cioé nel pomeriggio del 1 settembre, subito dopo la prova sostenuta dai Pompieri di Milano che per l’occasione si cimentarono nell’opera di spegnimento dell’incendio di un fienile. Ai nostri toccò la prova di spegnimento dell’incendio della Casa del Fascio, con simulazione di salvataggio di una persona rimasta bloccata al secondo piano dello stabile. La seconda prova fu rappresentata dalle manovre di montaggio e smontaggio della Scala Romana, uno degli strumenti più tipici e spettacolari della tradizione pompieristica romana, e la manovra completa venne svolta in soli 12 minuti. E fu proprio la squadra dei Vigili di Roma a conseguire, in virtù del punteggio ottenuto, ben due premi del Concorso Internazionale di Torino, rappresentati dalla Grande Medaglia d’Oro offerta dal Duca di Genova per la manovra d’incendio e di salvataggio alla Casa del Fascio, e una Coppa d’argento offerta dal Comitato organizzatore del Concorso per la manovra della Scala Romana in briglia.

Il Comandante del Corpo di Roma, Ing. Giacomo Olivieri, venne nominato Membro onorario di due istituzioni pompieristiche: una portoghese ed una fra gli Ufficiali professionisti dei Pompieri inglesi.

Il personale del Corpo dei Vigili di Roma inviato al Concorso Internazionale di Torino del 1928 fu il seguente:

Comandante: Ing. Giacomo Olivieri

Vice Comandante: Ing. Ugolini

Capo Reparto Macchinista: Dottori

Capi Squadra: Ballerinie Bascheriniclip_image006[4]

Sotto Capo Squadra: Cenedella

Vigili: Benedetti, Filiberti, Flori e Ranieri

Bibliografia: Capitolium 1928, pag. 425, 426, 427. Archivio Storico Capitolino.

clip_image002[4]                                                                                               clip_image004[4]                                                                                                                              Manovra di spegnimento incendio della Casa del Fascio                                                                    Foto di gruppo di Ufficiali e pompieri partecipanti al Concorso                                                                                                                                                             Medaglia del pompiere romano Raimondo Ballerini

 

 

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i Gatti Neri

GATTI NERI VELOCISSIMI!

di Alessandro Fiorillo

Con l’appellativo "gatti neri" erano conosciute le Squadre Celeri, un corpo speciale dei Vigili del Fuoco negli anni 40. 23.3

Uno di loro Robero Donnini, (ci ha lasciato nel 2010 all’età di 96 anni), molto ci ha raccontato sull’organizzazione delle Squadre Celeri, sugli interventi, gli addestramenti a via Genova, sul fatto che erano "velocissimi" e in pochi secondi erano pronti sul mezzo ad uscire per l’intervento di soccorso. Il loro compito era quello di approntare l’intervento una volta giunti sul posto, arrivavano prima dell’autobotte, quindi preparavano tutto il necessario, tubazioni, manichette, lance e via iniziavano con l’opera di spegnimento dell’incendio.

Le Squadre Celeri furono piuttosto impegnate negli anni 40, soprattutto in occasione dei bombardamenti delle città italiane. A Roma, dove erano coordinate e dirette dall’Ufficiale Alberto Cosimini, intervennero incessantemente il 19 luglio 1943 durante il primo drammatico bombardamento della città (oltre1500 vittime accertate con stime che parlano di un totale di circa 3000 vittime presunte).

Recentemente, seguendo alcune testimonianze, siamo venuti a conoscenza del fatto che una di queste squadre celeri a Roma era in servizio all’interno del Vittoriano, il monumento meglio noto come Altare della Patria. Queste squadre di stanza nei sotterranei del Vittoriano erano a disposizione esclusiva del Capo del Governo, che spesso trascorreva le sue giornate nel vicino Palazzo Venezia.DSCI0004

Qualche giorno fa insieme al CR Claudio Gioacchini, siamo entrati nei sotterranei del Vittoriano. E abbiamo avuto conferma che, quasi 70 anni fa, lì sotto c’erano i vigili del fuoco, i "gatti neri" (tale nomignolo era dovuto al fatto che nella grande camerata di via Genova dove alloggiavano era dipinto un enorme gatto nero). Abbiamo trovato anche i nomi dei vigili, incisi sulle pareti (sono lì da quasi 70 anni, basta un infiltrazione d’acqua o un pò d’umidità per tirarli via…per fortuna abbiamo fatto in tempo a fotografarli, e a salvarli quindi dall’oblio). Quei sotterranei (il cui ingresso, come già detto, si trova sotto l’altare della Patria) venivano usati negli anni 40 anche come rifugio antiaereo, durante i bombardamenti. Sicuramente le postazioni dei Vigili del Fuoco e della Croce Rossa (abbiamo trovato nei sotterranei inequivocabili tracce anche della loro presenza) si trovavano lì anche per sfuggire alle potenziali distruzioni dei bombardamenti (per evitare quindi d’essere messi fuori servizio dagli stessi). Le gallerie che abbiamo esplorato sono soltanto una piccola porzione delle stesse, che si inerpicano nel sottosuolo di Roma e raggiungono anche posti relativamente distanti da Piazza Venezia (probabilmente passano anche sotto via del Corso e arrivano fino a Piazza del Popolo e forse oltre).

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Medaglie al V.C. conferite per l’intervento dell’8 giugno 1913 in via del Tritone

MEDAGLIE AL VALOR CIVILE CONFERITE A SEGUITO DEL SEGUENTE INTERVENTO:

8 GIUGNO 1913, CROLLO DELL’ALA DI UN PALAZZO IN VIA DEL TRITONE

MEDAGLIA D’ARGENTO

Ing. Cav. Uff. Fucci Giuseppe Comandante dei vigili, perché, nella notte dell’8 giugno 1913, essendo rovinata l’ala sinistra d’un vasto palazzo in via del Tritone, accorse a capo d’un drappello dei suoi militi, e con un servizio di pronto soccorso e di salvataggio efficace, trasse dalle macerie ben sedici persone seppellite.

Per lo stesso disastro:

Ing. Renato De Paolis, Sottocomandante

Ing. Giacomo Olivieri, Sottocomandante

Pillade Pinti, Maresciallo Testa Macario, Brigadiere Pio Recchi, Vice-Brigadiere Attilio Marcucci, Vice-Brigadiere Alfredo Romiti, Vice-Brigadiere Salvatore Moschetti, Vigile Giuseppe De Santis, Vigile Antonio Piras, Vigile Gioacchino Gaetani.

MEDAGLIA DI BRONZO

Per lo stesso disastro dell’8 giugno:

Ing. Carlo Giuliani, Vice-Comandante

Ing. Venuto Venuti, Sottocomandante

Attilio Olmeda, Vigile Enrico De Angelis, Vigile

NELLO STESSO ANNO, 1913, ATTESTATI DI BENEMERENZA SONO STATI CONFERITI A:

Roma,

Ing. Pasquale Sorbara, Sotto-Comandante

Alberto Albani, Vice-Brigadiere Giuseppe Montanelli, Caporale Mariano Caroli, Vigile Luigi Olivieri, Vigile Raniero Franzero.

Velletri,

Costantino Farina, Comandante

Cesare Caravà, Brigadiere Fernando De Angeli, Brigadiere Pietro Trenta.

Per una più precisa ricostruzione storica stiamo cercando informazioni, foto, materiale sui nominativi ed eventi citati in questa lista.

Se puoi aiutarci nelle nostre ricerche contattaci all’email: gruppostoricovvfroma@gmail.com

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Vincenzo Sebastiani

VINCENZO SEBASTIANI
“SOTTOCOMANDANTE DEI VIGILI DI ROMA”

di Alessandro Fiorillo

Questo articolo intende rievocare la figura del Sotto-Comandante dei Vigili di Roma Ing. Vincenzo Sebastiani, al quale è stata intitolata la caserma di Via Genova (Sede Centrale del Comando di Roma).
sebastiani 1Vincenzo Sebastiani nacque a Roma il 26 ottobre 1885. Fin da giovanissimo spiccò per le sue doti sportive, in particolare nel nuoto e nel ciclismo. Ma la sua passione più grande fu la montagna, fu infatti socio del Club Alpino Italiano e divenne uno dei primi alpinisti d’Italia e tra i fondatori della S.U.C.A.I. (Stazione Universitaria del Club Alpino Italiano) di Roma, e del “Gruppo Romano Sciatori” di cui fu eletto Vice Presidente. Stabilì una sede della società nella località abruzzese di Ovindoli, nei cui campi di neve si abbandonava alle escursioni con gli “ski” (nome con il quale, ancora nel 1917, erano chiamati gli sci). Questa sua passione per la montagna e il suo legame con il territorio abruzzese gli valsero, a seguito della tragica morte, l’intitolazione di un rifugio montano, ancora oggi esistente, tra il piano di Campo Felice (Aq) e le Montagne della Duchessa. Oltre che nello sport, spiccò negli studi accademici, conseguì infatti, presso la Regia Scuola d’Applicazione in Roma, la laurea di Ingegnere Civile. In seguito a un pubblico concorso, fu nominato “Sotto-Comandante dei Vigili”, nel cui corpo di Roma entrò nell’agosto del 1914, segnalandosi subito per la passione, l’intelligenza, il coraggio e l’alto senso del dovere. La sua opera venne particolarmente apprezzata durante le operazioni di soccorso dopo il tragico terremoto della Marsica (Abruzzo) del 15 gennaio 1915. Gli fu affidato il comando di una squadra di vigili romani, e con gli stessi si adoperò, instancabilmente, tra le macerie di Avezzano, compiendo anche personalmente difficoltosi e pericolosi salvataggi, grazie ai quali gli fu conferita la medaglia d’argento di benemerenza del Comune di Roma, quella d’argento di benemerenza assegnata dal Governo e la medaglia d’argento della Fondazione Carnegie. Richiamato alle armi col grado di Sottotenente di complemento del Genio, prima ancora dell’inizio della Grande Guerra, egli fu addetto ai Servizi Tecnici Aeronautici è più tardi fu inviato in zona di guerra con un parco Aerostatico. Successivamente, dopo la formazione delle sezioni dei Pompieri Militari, fu assegnato alla seconda armata, e gli fu affidato, dopo la presa di Gorizia, il comando della numerosa squadra dei “Pompieri Militari in Gorizia Italiana” (molti dei quali provenienti dal Corpo dei Vigili di Roma), comando che esercitò dal 14 agosto 1916 al 20 agosto 1917. Il 19 agosto 1917, mentre dirigeva un servizio di spegnimento sotto il tiro nemico, restò gravemente ferito, e morì il giorno dopo. Fu decorato con medaglia d’argento al valore, con la seguente motivazione: “Restava gravemente ferito mentre con abituale coraggio dirigeva le operazioni di estinzione di un incendio sul quale insisteva ancora il tiro di artiglieria avversario. Appena superata gravissima operazione, con esemplare serenità, si dichiarava contento di aver compiuto il proprio dovere”.
 Il Comandante del Corpo dei Vigili di Roma, ing. Giacomo Olivieri, dava comunicazione della tragica morte del Tenente Sebastiani attraverso un ordine del giorno, di cui ripropongo alcuni significativi passi: “23 agosto 1917. Con animo costernato partecipo al Corpo la morte eroica del Sotto-Comandante Ing. Vincenzo Sebastiani, avvenuta il 20 corr. Per granata nemica, mentre guidava con l’usato ardire i Pompieri Militari allo spegnimento di incendi nella città di Gorizia. I nostri Vigili che con lui divisero da oltre un anno i pericoli dell’ardua missione, che ne raccolsero il corpo infranto, e che sul letto di morte lo videro fregiato della medaglia d’argento al valore, ci diranno come di questa missione Egli fosse compreso e come sopra ogni altro sentimento avesse sacra la religione della Patria e del dovere. La memoria di lui ci sarà di sprone nei diuturni cimenti e formerà l’orgoglio della nostra famiglia, su cui risplenderà sempre di fulgida luce la bella e generosa figura del giovane Ufficiale, che per virtù di animo e di mente seppe conquistare il nostro affetto e la nostra stima, che consacreremo con un ricordo tangibile qui in mezzo a noi. Ing. Olivieri”. La morte del Tenente Ing. Vincenzo Sebastiani, che nell’ambito dei Corpi dei Pompieri di tutta Italia aveva saputo guadagnarsi l’ammirazione e il rispetto per il coraggio e la competenza, suscitò viva commozione. Ancora sul Bollettino Ufficiale della Federazione Tecnica Italiana Corpi Pompieri del 1922, viene pubblicata una lunga e commovente narrazione (ripresa dal periodico Coraggio e Previdenza del 1 dicembre 1922) che descrive il trasporto della salma di Vincenzo Sebastiani dal cimitero di Cormons a Roma. Vi si può leggere anche il discorso pronunciato in quell’occasione dal Comandante dei Pompieri di Gorizia, Ing. Riccardo Del Neri. Riporto brevemente alcuni passaggi della narrazione:
(…) La gloriosa salma partita da Gorizia giunse a Roma, domenica 11 dicembre s. a. , fu provveduto al suo trasferimento dalla stazione di Termini alla Chiesa della Madonna degli Angeli. La cerimonia riuscì quanto mai imponente ed il concorso degli amici, dei colleghi e dei soci del Club Alpino fu veramente straordinario. Tutti i pompieri di Roma, liberi dal servizio, seguirono volontariamente la salma (…). E’ stato già comunicato che il Municipio di Gorizia provvederà a murare a sue spese nella Caserma Pompieri una lapide in memoria dell’eroico ufficiale, che altrettanto farà il Corpo dei Pompieri di Roma e che il Club Alpino intitolerà al Suo Nome il rifugio sul Velino”.
Verrà anche creata, grazie soprattutto all’attivismo dell’Ing. Silvestro Dragotti del Comando di Napoli, una “Fondazione Vincenzo Sebastiani” il cui Capitale sarà poi impiegato per sussidiare pompieri infortunati o famiglie di essi.
Nel 1923, a cura del Reggio Commissario del Comune di Roma, verrà scoperta, nella caserma dei Pompieri di Roma di via Genova, una lapide a ricordo perenne del Sotto-Comandante Vincenzo Sebastiani (visibile ancora oggi), a cui verrà pure intitolata la caserma.